Più regole per ridare fiducia ai mercati e agli investitori. Ma anche maggiori interventi sugli obblighi di trasparenza delle aziende. È quanto hanno suggerito i partecipanti alla tavola rotonda sul tema: La remunerazione degli amministratori di società quotate, che si è tenuta lo scorso 4 novembre in Università Cattolica. «Il tema dei sistemi di ricompensa degli amministratori delegati si pone tra due poli», ha detto il professor Alberto Mazzoni docente di Diritto commerciale, che ha introdotto e moderato. «Da una parte, la necessità di guardare la questione con razionalità; dall’altra, il fatto imprescindibile di imporre nuove norme in grado di generare tranquillità e fiducia».

Secondo Massimo Belcredi bisogna partire dall’assunto che, dopo una grande crisi come quella che ha scosso il mondo della finanza mondiale, è una costante storica del legislatore riflettere su una ri-regolamentazione del mercato. Negli ultimi due anni – ha continuato il docente – si sono infatti acuiti i meccanismi di governance. Tra i legislatori più attivi spicca la Commissione europea che di recente ha pubblicato un Green paper dedicato proprio alla tematica delle remunerazioni. Tuttavia, il professor Belcredi, dati alla mano, ha sottolineato che più che soffermarsi sulla necessità o meno di regolamentare, bisognerebbe intervenire sulla “disclosure” delle remunerazioni, vale a dire sul processo di informazioni relative ai compensi. Il docente di Finanza aziendale ha infatti calcolato i compensi in Italia di amministratori delegati e direttori esecutivi nell’ultimo quinquennio (2005/2009). Ne è emerso che la remunerazione media degli ad di società finanziarie si aggira intorno ai 700mila euro, mentre quelle dei direttori esecutivi è circa la metà. Nonostante gli anni horribili della crisi, i bonus hanno ricoperto cifre di tutto rispetto. Anche se da fine 2007 a fine 2008 si è registrato un netto calo dei piani di incentivazioni azionari agli amministratori, del 54,1% per quanto riguarda le stock option e del 50,4% per le stock grant. Ma, al di là della crisi e delle incentivazioni, spesso accade che le cifre dei compensi siano decise dai Cda, senza di fatto informare il mercato, tantomeno sull’importo della buonuscita di un amministratore in caso di dimissioni. Da questo punto di vista, è emblematico il caso Profumo e i suoi 40 milioni di euro di liquidazione.

A sgomberare il campo dalla tesi secondo cui la crisi economica sia responsabilità delle banche e della loro tendenza speculativa è il professor Guido Ferrarini. Il docente dell’Ateneo di Genova, analizzando 40 istituti di credito europei e confrontando le relazioni della Consob sulle paghe degli amministratori, è giunto alla conclusione che non esiste un rapporto diretto tra crisi economica e comportamento dei vertici delle banche. L’ad di Amplifon Guido Moscetti ha escluso una regolamentazione europea in materia, perché «ogni mercato ha caratteristiche diverse con fatturati diversi. Pertanto, ogni manager andrebbe valutato secondo il sistema di valori che esprime». Massimo Della Ragione ha invece puntato l’attenzione sulla necessità di valorizzare all’interno del contesto aziendale la figura del Risk manager. Inoltre, per l’esponente di Goldman Sachs è fondamentale non ingabbiare il sistema europeo in un mercato manageriale troppo regolamentato, altrimenti si corre il rischio di un’emorragia di eccellenze verso Paesi non regolamentati. Per questo, ha suggerito, serve un approccio globale, con una armonizzazione regolamentare, anche contabile. Infine, l’economista Luigi Zingales, che già in passato è intervenuto sul tema, ha considerato sicuramente buona l’idea di imporre ai manager il pagamento differito di larga parte del bonus, così come il requisito che la parte differita sia investita in modo da rendere il manager compartecipe delle perdite, per ridurre gli incentivi ad assumersi rischio.