di Michela Maria Favini *
Ci ho messo quasi un anno ad organizzare il mio viaggio per Los Angeles e il più delle volte mi sono trovata sul punto di mollare. Ho 24 anni e ho iniziato da poco il secondo anno della laurea magistrale di Criminologia. Segni particolari: sono sulla sedia a rotelle e molto curiosa. Il mio corso di laurea, nonché il mio futuro lavorativo, richiede una buona, se non ottima, conoscenza della lingua inglese. Purtroppo la mia preparazione, soprattutto nella parte di listening, risultava insufficiente, così ho pensato che fosse una buona idea un'esperienza sul campo, per migliorare. Ho iniziato a mettermi in contatto con l'ufficio Relazioni Internazionali di Milano per partecipare al programma Late alla Ucla di Los Angeles. Insieme abbiamo deciso ogni più piccolo dettaglio insieme, dalla stanza del campus più accessibile, al bus per il trasporto dal campus alla sede dove si svolgono le lezioni, al noleggio di una sedia a motore per essere più indipendente.
Una volta sistemato tutto, arrivò il momento di partire. Per la prima volta, sola, dall'altra parte del mondo, per un mese intero. Paura, ma quella paura che ti rende quasi impavido. L'aereo di Lufthansa atterrò il 25 luglio 2010 sul territorio californiano, dando inizio alla mia piccola scoperta dell'America. Los Angeles è esattamente come la vediamo in televisione, ossia tutto elevato esponenzialmente. Locali grandi e spaziosi, superstrade a 5 corsie, hamburger a multistrati, bicchieri della Coca Cola da due litri e spiagge chilometriche. Io mi sono innamorata di Venice Beach, dove i personaggi più bizzarri si mescolano alla gente comune, californiani o turisti. Qui ho mangiato l'hamburger gigante più buono della storia del mondo, perlomeno del “mio”.
La vita nel campus universitario è stimolante e produttiva, permette di sviluppare le capacità sportive degli studenti, che hanno a portata di mano ogni mezzo per praticare lo sport che più preferiscono, oltre che a mantenere alta la concentrazione allo studio, promuovendo gruppi di studio e offrendo vari eventi culturali, come concerti musicali, spettacoli teatrali, film, mostre. Gli studenti vivono in una dimensione fatta su misura per loro, sicura, ma allo stesso tempo acquisiscono molte responsabilità, grazie al fatto che devono muoversi in maniera completamente autonoma.
Avevo lezione dal lunedì al giovedì, dalle 9 del mattino alle 15.30 del pomeriggio. Le insegnanti erano preparate, competenti, disponibili e gentili. Le classi erano miste, ma le nazionalità più dominanti erano quelle italiane, spagnole e asiatiche (per lo più taiwanesi e giapponesi). Timidi, introversi e silenziosi, i nostri amici con gli occhi a mandorla si trovavano a fare i conti con gli italiani “casinisti” e rumorosi, oltre che chiacchieroni e amichevoli. L'ultimo giorno ci hanno confessato che la nostra personalità estroversa, inizialmente li metteva un po’ in imbarazzo, ma poi aveva contribuito ad instaurare rapporti di amicizia piuttosto stimolanti. Le lezioni erano molto interattive e divertenti: invogliano a conoscere meglio le culture così diverse dalla nostra. Talvolta mi sentivo quasi indispettita dall'aspetto giocoso e quasi elementare che assumevano gli esercizi in classe, ma con il senno di poi ho capito che questo metodo di insegnamento favoriva la partecipazione oltre che la memoria e la buona volontà.
A parte un inglese, un pochino, più fluente, quello che ho rimesso con cura nella valigia del ritorno è il sapore di libertà e indipendenza che la realtà americana mi ha offerto nonostante la mia disabilità. Le strade sono curate e accessibili, ogni marciapiede ha una rampa di salita e una rampa di discesa, i locali per la maggior parte non hanno gradini all'entrata altrimenti, anche il locale meno affidabile, forniscono un'entrata alternativa ugualmente comoda e sicura. I bagni per i diversamente abili erano presenti ovunque, grazie al fatto che sfruttavano lo spazio destinato ai servizi igienici per creare un bagno unico, quindi sia per persone normodotate che per persone in sedia a rotelle, ma spazioso e comodo per entrambe le tipologie, evitando di ricercare spazi in più che talvolta non è possibile ottenere, ma allo stesso tempo evitando la discriminazione (perdonate l'uso di un'espressione così forte, ma non è così lontana dalla realtà) tra chi può e chi non può usufruire dei servizi igienici.
Ho girato Los Angeles e le spiagge di Santa Monica, Venice Beach e Malibù in autobus. Ho potuto viaggiare su un bus turistico godendo dei colori caldi e luminosi del deserto del Nevada, destinazione: Las Vegas. Ho potuto prendere il taxi. Ho potuto salire sulle giostre dell'Universal Studios. Ho potuto andare dal parrucchiere senza per forza essere accompagnata dalla mamma o da un'amica. Ho potuto prendere un gelato, fare shopping, passeggiare sola per la città, prendere il sole in piscina godendo di un buon libro. Sembrano cose semplici, banali, fattibili, e infatti lo sono, a Los Angeles. Il punto forte degli americani sta nelle loro capacità predittive e nella cura per i dettagli, almeno per quanto riguarda i diversamente abili. Los Angeles mi ha regalato fiducia e speranza. Tutto è possibile, anche viaggiare all'altra parte del mondo con una sedia a rotelle, senza accompagnatore.
* 24 anni, di Paullo (Mi), secondo anno della laurea magistrale di Criminologia, facoltà di Sociologia, sede di Milano