di Elena Taurini *
«Mamma, sai che navigando sul sito della Cattolica ho trovato un bando per gli studenti che vogliono trascorrere un semestre all’estero? Mi piacerebbe andare in Canada… il concorso scade domani, posso iscrivermi?» E lei: «In Canada? Così lontano? Se ti succede qualcosa ci mettiamo troppo a raggiungerti! Non puoi scegliere un posto più vicino?». È iniziata così l’avventura che mi ha portato a vivere alcuni mesi fa la fantastica esperienza di un semestre a Kamloops, nel cuore della British Columbia in Canada.
Il primo impatto con la cittadina è stato surreale. Immaginando il tipico stereotipo che dipinge il Canada come un’immensa distesa di natura selvaggia piena di foreste, mi aspettavo ben altro che di ritrovarmi nell’unica zona desertica di questo paese. La vista dalla finestra della mia camera ritraeva una valle completamente rocciosa ricoperta di alberi bruciacchiati, nella quale spiccava solamente il blu acceso dei due fiumi da cui ha preso il nome l’università che ho frequentato: la Thompson Rivers University (Tru).
L’accoglienza e l’organizzazione dell’ateneo ospitante mi hanno subito stupito! Il pranzo di benvenuto è stato l’opportunità per radunare tutti gli studenti internazionali matricole 2009 alla Tru: eravamo in 1500 provenienti da 56 paesi diversi. L’integrazione culturale, tanto cara ai canadesi, è stata il ritornello di questi quattro mesi eccezionali. Essendo l’unica italiana tra 10.000 studenti, il confronto culturale è stato per me non solo inevitabile ma in fondo si rivelato l’elemento più interessante e appassionante del semestre. Ricordo felicemente e con un po’ di nostalgia come una delle prime sere abbia affrontato un’accesa discussione con un ragazzo tedesco riguardante “regole e confini” che mi aveva portato a riflettere su quanto i nostri modi di pensare differissero sebbene i due paesi non siano geograficamente molto distanti. Tuttavia il giorno successivo, durante una delle attività di gruppo ho sperimentato un forte senso d’appartenenza all’Europa che mi ha spinto a creare dei forti legami con dei ragazzi tedeschi. Ci sembrava, infatti, che le nostre nazioni facessero parte di un mondo così distante da quello americano. Ho quindi scoperto come la vena critica che credevo italiana sia in realtà un comune elemento europeo completamente antitetico alla goliardia e all’assenza di giudizio americana. Successivamente, per ironia della sorte, mi sono ritrovata in una classe composta completamente da giapponesi, cinesi ed arabi: inutile aggiungere come percepissi chiaramente la mia appartenenza al mondo occidentale che condividevo con la professoressa canadese. Impossibile, quindi, non riflettere sulle teorie riguardanti la nascita di un gruppo, il confronto tra gruppi, l’appartenenza, la coesione, l’identità sociale e il conflitto intergruppi, affrontate nell’esame di Psicologia sociale dei gruppi della professoressa Iafrate, che ho vissuto con coinvolgimento e passione in prima persona.
Continuando lungo il filo rosso del confronto culturale, come non ricordare le cene organizzate insieme al mio gruppo di amici! Ci radunavamo ogni due settimane nella cucina comune del Residence e a turno preparavamo piatti tipici del proprio paese. Sono riuscita a sfamare trenta persone con pizza e tiramisù e ho avuto il piacere di gustare: fonduè svizzera, canederli austriaci, salsiccia e “feuerzangbowle” (vino cotto speziato) tedeschi, pumping pie canadese, spaghetti di soia cinesi e sushi. Oltre agli esperimenti culinari, ho condiviso con questi miei amici (un gruppo formato in prevalenza da tedeschi, austriaci, svizzeri e svedesi) dei fantastici momenti all’aria aperta. A pochi chilometri dalla nostra piccola valle bruciacchiata si nascondeva un mondo di foreste, laghi e monti mozzafiato. Non dimenticherò mai le eccezionali escursioni nei grossi parchi naturali che dominano il territorio della British Columbia, come quello di Banff, e le visite nelle città più importanti della costa occidentale america: Seattle, Portland, San Francisco e l’impareggiabile Vancouver! Durante la stagione sciistica quasi ogni week-end siamo stato sulle piste di Sunpeaks (comprensorio rinomato a pochi chilometri dall’università) e di Whistler per provare i tracciati che hanno ospitato le Olimpiadi Invernali. Per chi fosse interessato a quest’esperienza si consiglia vivamente di trovare un amico austriaco: la sua organizzazione e il suo senso dell’orientamento non permetteranno mai al gruppo di perdersi, neanche in mezzo alla selva canadese. Tutte queste attività di gruppo mi hanno permesso di instaurare un rapporto con questi ragazzi così intenso e vero quasi da poterlo paragonare a quello esistente all’interno di una famiglia.
Per quanto riguarda l’aspetto didattico mi sono accorta come il sistema canadese sia diverso dal nostro italiano; la frequentazione obbligatoria e i compiti a casa lo rendono molto simile alla nostra scuola superiore. Dal mio punto di vista, poi, l’università italiana affronta la teoria in modo più approfondito, mentre in America ci si preoccupa sin dall’inizio di calarsi nel vivo della pratica sfiorando solo superficialmente e in velocità alcuni punti teorici. Personalmente ho avuto la sensazione che l’università canadese fosse più semplice della nostra e questo aspetto mi ha permesso di dedicarmi molto intensamente all’apprendimento della lingua inglese grazie alla frequentazione di due corsi di lingua.
A conclusione di questi quattro mesi posso ritenermi ampiamente soddisfatta del semestre passato a Kamloops. Infatti non solo ho migliorato il mio inglese tanto da riuscire frequentare corsi e a svolgere esami in lingua, ma ho anche visitato dei posti meravigliosi e conosciuto delle persone davvero uniche con cui spero di mantenere i contatti. Quello che ha caratterizzato tutti i bellissimi momenti trascorsi e le attività svolte durante questo periodo è stata la spensieratezza e l’assenza di tutte quelle preoccupazioni che di solito appesantiscono la quotidianità milanese. A parte i problemi linguistici, ampiamente superati, e qualche ostacolo dovuto alle consegne scolastiche, sono riuscita davvero ad affrontare ogni impegno con un’euforia e un ottimismo che non avevo mai sperimentato. Solo successivamente ho realizzato che, anche se il periodo passato in Canada è stato magico, la vita di ogni giorno è un’altra, è spesso costellata di preoccupazioni e tensioni che ti impediscono di vivere serenamente come a Kamloops. Posso comunque solo riconoscere quanto sia stata fortunata a vivere questi mesi e a sperimentare queste emozioni, cercando di custodire i ricordi nel mio cuore. Un anno fa non avrei mai creduto di essere in grado di affrontare da sola questo viaggio, soprattutto perché questa è stata la prima esperienza che mi ha condotto fuori casa per un periodo prolungato. Credo che con il mio viaggio in Canada sia riuscita in parte a vivere di persona quei concetti che la nostra preside Eugenia Scabini aveva teorizzato trattando il tema della “transizione alla vita adulta” e a distinguere quali siano gli aspetti positivi e negativi della scissione dal nucleo famigliare.
Per quanto riguarda la mamma, dopo il primo mese di assidui e costanti contatti telefonici, certe volte anche difficili per la differenza di nove ore di fuso orario, a ottobre ha deciso di venirmi a trovare. In quel frangente, visitando i parchi e i monti che le avevo incessantemente descritto e sperimentando per qualche giorno il mio stile di vita canadese, si è tranquillizzata a tal punto da far diventare sporadiche le nostre telefonate al suo ritorno in Italia. Credo che questo aspetto sia una dimostrazione pratica del fatto che l’ambiente circostante influenzi in maniera perentoria non solo il processo di maturazione di un individuo ma anche quello del resto della famiglia che si trova a dover gestire un nuovo equilibrio nella quotidianità.
* 23 anni, milanese, studentessa del secondo anno della laurea magistrale di “Psicologia clinica: salute, relazioni famigliari e interventi di comunità”, sede di Milano