di Francesca Rigotti *
A Bunamwaya, un villaggio nei pressi di Kampala, una ventina di donne dagli abiti sgargianti si ritrova davanti alla propria chiesetta, prende posto a sedere su alcune stuoie e accoglie i loan officer di Wekembe con un succo di frutta. Una preghiera dà il via all’incontro del giorno a cui partecipo anch’io. È uno dei solidarity group seguiti da Wekembe, il progetto di microcredito proposto dalla Diocesi di Kampala e sostenuto dalla Fondazione Spe Salvi della Cattolica, presieduta dal professor Andrea Perrone. È proprio su Wekembe che si focalizza la mia tesi di laurea specialistica condotta sotto la supervisione dei professori Annalisa Verna e Roberto Moro Visconti. Sull’importanza cioè della microfinanza come leva per uscire dalla spirale della povertà, permettendo a persone attive e intraprendenti, ma prive di mezzi economici, di avviare una piccola attività.
Per poter comprendere davvero se la microfinanza offra questa possibilità, ho trascorso il mese di luglio in Uganda, un Paese che si trova nella regione più povera del mondo, l’Africa Sub-Sahariana, ma che sta facendo grandi sforzi per svilupparsi. Accanto alle politiche macroeconomiche messe in atto dal Governo, uno strumento fondamentale per permettere alla popolazione povera di sperare è proprio quello finanziario. La concessione di un prestito rappresenta per molti una possibilità di riscatto: riescono a mettere in piedi un’attività di fattoria o un piccolo negozio di artigianato e pagare così le tasse scolastiche o le spese mediche.
Il mio lavoro è consistito nel seguire lo staff del progetto, che si appoggia alla rete delle parrocchie, per capire meglio il meccanismo del prestito di gruppo e per valutare l’impatto reale che l’iniziativa ha sui suoi clienti. Nei vari villaggi e distretti di Kampala ho partecipato agli incontri coi clienti e li ho intervistati o, meglio, per intervistate: oltre il 90%, infatti, sono donne, perché hanno dimostrato di essere più responsabili degli uomini sia nell’intraprendere un’attività che nel restituire il prestito.
Dalla mia analisi è emerso che i clienti sono soddisfatti di Wekembe, anche perché, non potendo lasciare alcuna garanzia, le banche non avrebbero fatto loro alcun credito. La forza di Wekembe è rappresentata invece dal prestito di gruppo, ovvero dalla concessione del finanziamento a un solidarity group di una ventina di persone dove la garanzia è implicita nell’essere solidalmente responsabili. Con questo sistema i clienti possono ricevere un prestito e usarlo come meglio credono, restituendolo in rate settimanali o mensili. Ho potuto constatare di persona cosa sono riuscite a fare queste donne con l’aiuto ricevuto: aprire un piccolo negozio di vestiti o di ricambi per auto, aumentare il numero degli animali della fattoria o la quantità di merce per la propria drogheria o merceria. Ogni incontro è stato interessante professionalmente e umanamente caloroso, perché le clienti erano orgogliose di mostrarmi quanto avevano costruito - spesso dal nulla - e guadagnato, offrendomi talvolta in dono alcuni dei loro prodotti.
All’Uganda Martyrs University di Kampala ho avuto anche la fortuna di assistere a un workshop sulla micro finanza: ho partecipato alla giornata dedicata alla performance sociale della microfinanza, incontrando anche il Vice Chancellor, Olweny, e interagendo con una classe multietnica, con persone che venivano da tutta l’Africa per saperne di più sulla materia. Non mi sono fatta neppure lasciata sfuggire l’occasione di fare un po’ di turismo: alle Fonti del Nilo e poi al Paraah, dove ho trascorso due giorni di safari a bordo di una jeep, entrando nell’habitat di leoni, gazzelle, antilopi, giraffe, coccodrilli, ippopotami e ammirando dalla barca le magnifiche Murchison Falls. Trovarsi nel cuore dell’Africa e della savana è un’emozione unica, che permette di riconoscersi piccoli e osservare l’immensità della natura.
Sono proprio contenta dell’occasione che ho avuto di seguire il progetto Wekembe: mi ha permesso non solo di capire al meglio l’utilità della microfinanza e di testare che funziona e cambia la vita a queste persone, ma anche di vivere un’esperienza unica. La vita per un mese in un Paese così povero fa riflettere: in Uganda ci sono pochissime strade asfaltate e gli spostamenti sono dunque complessi, le persone vivono in piccolissime casette di legno con almeno sei figli a testa, sfamando quelli che riescono. Grazie ai contatti del professor Moro Visconti, che si occupa del progetto del microcredito, ho avuto la fortuna di essere ospitata dalla missione di padre John, che mi ha fatto sentire come a casa. Mi mancano soprattutto i bambini che riescono a esprimere gioia e trasmettere allegria in ogni momento. Mi manca il tornare “a casa” e sentirmi dire da tantissime vocine: “Welcome back, Francesca!”
* 23 anni, neolaureata alla specialistica in Management Internazionale, facoltà di Scienze linguistiche, Milano