Fin da quando ero piccolo, mia madre giocava con me a proposito del suo potere di vedermi quando era di spalle o di leggermi nel pensiero, cosa alla quale non credevo fino in fondo ma che, tutto sommato, non trovavo del tutto improbabile. "Lo sai che la mamma è un po' strega", mi ricordava. E per quanto sapessi che scherzava, intuivo che quelle parole esplicitavano qualcosa che tutti i bambini sanno anche senza poterlo dire - e che tutte le fiabe raccontano per aiutarli, appunto, ad esprimere l'indicibile, ovvero: che chi ha il potere di darci la vita ha anche il potere di "divorarci", che l'amore può essere la forza più luminosa e più oscura dell'universo, e che ogni genitore può essere un orco o, appunto, una strega.
 
Ho ripensato molte volte, da grande, a questa strana connessione. Occupandomi del lavoro educativo e di cura, ho capito che, sebbene se ne parli sempre in termini positivi ed edificanti, una relazione d'aiuto in realtà comporta sempre "lati oscuri" spesso taciuti: retaggi inconsci, vissuti ambivalenti e possibili derive.

Forse per questo è così inaccettabile per noi, ogniqualvolta la cronaca ci impone di prenderne atto, renderci conto che proprio le persone che dovrebbero fare del bene hanno più di altre la possibilità di fare del male: madri che uccidono i loro figli, familiari o educatori che abusano dei più piccoli, maestre che picchiano i bambini, operatori che maltrattano gli indifesi (perlopiù anziani o disabili) che dovrebbero accudire. Questi fatti ci obbligano a prendere coscienza che il male non è semplicemente "altro" da noi, ma è una possibilità più intima di quanto crediamo. La domanda di Carl Gustav Jung, a questo punto, è inevitabile: "Come posso vivere con la mia ombra senza che ne derivi una serie di sventure?".

Un rapporto educativo o di cura si muove sempre su un crinale sottilissimo: l'autorità può sconfinare nel dominio, l'affetto nel possesso. Ed è sempre luogo di emozioni intense, talvolta difficili: non solo la gioia, la tenerezza, la speranza, ma anche la stanchezza, la tristezza, la rabbia, la delusione, il disgusto. Questi vissuti, che spesso non hanno "diritto di cittadinanza" (non si devono provare e, se accade, non si possono esprimere) vengono sistematicamente rimossi, salvo poi sfociare in modo distorto o distruttivo.

Quali aspetti dell'educazione oggi sono confinati "nell'ombra"? Qual è il prezzo che paghiamo per la loro rimozione? Quali dimensioni psicologiche, autobiografiche, affettive si animano "dietro le quinte" della relazione educativa? Come imparare a riconoscerle e a riappropriarsene per non subirle passivamente? Sono le domande a cui cercherà di rispondere il convengo "D'amore e ombra: dimensioni latenti nell'educazione".

* Docente di Pedagogia, facoltà di Scienze della formazione, sede di Piacenza