La vetrina della libreria Vita e Pensiero a Milano con le matite in memoria delle vittime di Parigi e i libri consigliati«La peggior caricatura morale di Dio, la più irreligiosa, quella che veramente lo sfigura e non può mai essere giustificata, neppure dalle peggiori caricature di Dio, è uccidere l'uomo che è l'immagine di Dio». François Bœspflug scriveva queste parole all’indomani dell’affaire delle caricature di Maometto pubblicate su un giornale danese

Parole che tornano d’attualità dopo il terribile attacco al giornale satirico francese Charlie Hebdo, che ha riportato alla ribalta il tema della libertà di espressione e della raffigurazione del divino. Per riflettere su questi fatti può essere utile il saggio del teologo francese e studioso dell’arte religiosa, tradotto da Vita e Pensiero con il titolo La caricatura e il sacro. Islam, ebraismo e cristianesimo a confronto.

Bœspflug mostra come l’ebraismo e l’islam siano accomunati da una forte restrittività nei confronti delle immagini sacre, fino al divieto assoluto di raffigurare Dio. Dal canto suo, il cristianesimo, pur avendo conosciuto nella sua storia gli eccessi dell’iconoclastia, è una religione intrinsecamente aperta all’immagine.

Ben consapevole del potere (e dei rischi) che l’immagine detiene, in virtù della sua eccezionale forza simbolica, soprattutto quando va a incontrare il senso del sacro e dell’identità culturale, Bœspflug si interroga su quale sia la strada da percorrere affinché la diversità dei modi di considerare la raffigurazione del sacro, amplificata dalla potenza dell’odierna “civiltà dell’immagine”, cessi di sfociare nella giustapposizione violenta e piuttosto trovi un registro di comprensione e di dialogo.

Rivolgendosi a tutti coloro che hanno a cuore il problema, e in particolare a chi, nelle nostre società fortemente plurietniche e plurireligiose, è chiamato a occuparsi di formazione e informazione, egli propone una “storia iconica” di Dio, pluralista e comparativa, laica e documentata, che renda ragione della presenza e della funzione delle immagini nel percorso storico delle religioni e ponga le basi per un “codice di buona condotta” che consenta di rispettare da un lato i valori tradizionali e dall’altro quelli delle democrazie moderne.

«L’ultima parola - conclude Bœspflug - «deve tornare all’affermazione della libertà nella dignità, nell’umorismo, nell’autocontrollo… e le grandi religioni hanno una lunga esperienza di queste qualità».


CONSIGLI DI LETTURA

Per approfondire i temi legati ai fatti che hanno investito con la Francia tutta l’Europa, consigliamo altre due letture.

Il male minore di Michael Ignatieff (collana Aseri)

Il male minore, di Michael IgnatieffOsservando e mettendo a confronto diverse situazioni di ‘emergenza terroristica’ nella storia degli ultimi centocinquant’anni (dai nichilisti della Russia zarista alle milizie della Germania di Weimar, dagli attentati dell’Ira a quelli senza precedenti di Al Qaeda), l'autore dimostra come l'impiego della forza, pure indispensabile in situazioni estreme, sia efficace solo quando è controllato. Ma soprattutto, egli sostiene, non dobbiamo nasconderci che non sempre ciò che si compie in nome della democrazia e della libertà è di per sé buono. Uccidere per contrastare un grave pericolo può essere necessario, ma si tratta comunque della scelta del ‘male minore’. È invece proprio l’etica politica, che con le sue regole impone di contenere l'uso della forza, a offrire alla democrazia, in ultima analisi, l'arma più efficace, l’unica davvero in grado di garantirne la sopravvivenza in un’epoca di terrore: il potere morale che le consente di resistere e perdurare oltre l'odio e la vendetta.

La parola contro la barbarie di Alain Bentolila

La parola contro la barbarie, di Alaiin BentolilaLa lingua non è fatta per parlare con un altro me stesso, con chi la pensa come me, vive dove vivo io, crede nel mio stesso dio. Utilizzando un efficace paradosso, Alain Bentolila, insigne linguista con il dono di una scrittura coinvolgente, afferma che la lingua non è fatta per parlare a coloro che amiamo, ma per parlare a coloro che non amiamo, per dire loro cose che risulteranno forse spiacevoli, ma che ci permetteranno di riconoscerci e rispettarci.

Non si ha bisogno di parole con chi ci è più vicino. Le parole diventano invece necessarie quando si ha di fronte l’altro nella sua alterità, nella sua intelligenza così simile ma così diversa dalla nostra, quando la ‘comunione’ deve cedere il passo alla ‘comunicazione’. Ma se parlare vuol dire sedersi al tavolo della negoziazione linguistica, accettare che l’altro abbia il diritto di interpretare il senso delle mie parole e insieme cercare di evitare che questa interpretazione sia un tradimento della mia intenzione, allora dobbiamo riconoscere alla parola (e alla scrittura) un potere prezioso: quello di trasformare pacificamente il mondo e gli altri.