Pierpaolo Limone«In Italia, come nel resto d’Europa, abbiamo ormai realizzato una corretta architettura normativa, ma non si è ancora sviluppata una cultura dell’apprendimento permanente». Proprio mentre le università scaldano i motori per proporre corsi di formazione e aggiornamento estivi che attraggono non solo studenti universitari, ma anche un pubblico eterogeneo di professionisti, Pierpaolo Limone (nella foto), docente di Pedagogia sperimentale all’Università di Foggia e delegato del rettore alla didattica e all'e-Learning, fa il punto sul Lifelong Learning. Un concetto che evidenzia un nesso molto stretto tra formazione e lavoro, tra apprendimento e produttività, tra sviluppo delle competenze e occupabilità.

«Apprendimento, innovazione e competitività sono le parole chiave dell’economia della conoscenza che punta alla formazione di capitale umano sempre più qualificato e in grado di gestire processi di elevata complessità – aggiunge il professor Limone -. In questo scenario, le agenzie educative hanno una responsabilità importante poiché è attraverso la valorizzazione dei processi formativi e della ricerca scientifica che è possibile promuovere lo sviluppo di professionisti altamente qualificati».

A 15 anni dall’enunciazione della Strategia di Lisbona su conoscenza e promozione del capitale umano, come reale leva di sviluppo della società e dei mercati, come vede attuato questo processo nel nostro Paese? «Non è più sufficiente parlare di acquisizione di competenze e di formazione specialistica, oggi è necessario ripensare i concetti di capitale umano e di successo formativo in una prospettiva di lifelong learning. Per essere competitivi con le economie più avanzate dobbiamo ripensare il ruolo della scuola e delle università. Per fare questo, è importante che gli enti formativi e le regioni, che in Italia hanno piena competenza su queste tematiche, lavorino in sinergia attraverso la condivisione di strategie operative e di interventi mirati».  

Globalizzazione e accelerazione tecnologica chiedono nel mondo del lavoro persone sempre più qualificate e aggiornate. Le università italiane sono pronte a raccogliere questa sfida di apprendimento costante lungo tutto l’arco della vita? «Il capitale intellettuale è una delle più importanti risorse in grado di promuovere lo sviluppo sociale e la crescita economica. Le università italiane sono impegnate da alcuni anni soprattutto nella formazione di alto livello realizzando su tutto il nostro territorio lauree magistrali, master e corsi di alta formazione che rappresentano un ottimo investimento in una prospettiva di apprendimento permanente. Purtroppo però la maggior parte dei corsi universitari non sono specificamente progettati per gli studenti lavoratori e quindi ci sono ancora degli ostacoli di accesso alla formazione per una larga fetta della popolazione adulta».

Ci sono segnali di inversione di tendenza? «Si stanno moltiplicando le iniziative istituzionali di e-learning anche in una prospettiva di open knowledge, cioè occasioni formative a distanza che sono spesso gratuite e aperte a tutti superando le rigidità dei regolamenti universitari. I MOOC (Massive Open Online Courses), per esempio, dopo un rapido sviluppo negli Stati Uniti stanno prendendo piede anche in Italia. Pochi giorni fa il Miur ha finanziato il portale italiano dei MOOC che sarà realizzato dal una rete di nove università alla quale potranno aggregarsi altri partner».

Le competenze sviluppate fuori dai sistemi di istruzione formale come possono essere valorizzate? «La certificazione delle competenze è una nuova funzione delle Università, ma deve essere ben orchestrata nell’ambito di un sistema formativo regionale efficiente. Il Decreto legislativo del 16 gennaio 2013 n.13, oltre a chiarire, una volta per tutte, il concetto di apprendimento permanente, definisce le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell'art. 4 comma 58 e 68 della legge 28 giugno 2012, n.92».

Cosa cambierà in concreto? «Grazie a questo decreto le università assumono finalmente un ruolo specifico poiché vengono riconosciute come soggetti costitutivi delle reti territoriali e come “enti titolati” alla certificazione delle competenze informali e non formali. Il fine ultimo del provvedimento è quello di assicurare sul territorio nazionale un sistema omogeneo di individuazione, validazione e certificazione delle competenze, rendendo così il diritto dei cittadini esigibile in modo appropriato. Il decreto istituisce il Sistema nazionale di certificazione delle competenze e ambisce alla costituzione del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali.

Sul fronte della certificazione delle competenze, che responsabilità avranno gli atenei? «La Crui ha istituito un gruppo di lavoro sull’apprendimento permanente che è attualmente coordinato dal professor Giovanni Marseguerra dell’Università Cattolica e da me. Abbiamo realizzato un’indagine sullo stato delle iniziative, sui centri e sui servizi attivi negli atenei italiani nell’ambito della formazione continua e complessivamente le posso confermare che sebbene si rilevi un grande interesse su questi temi di fatto solo pochissime università risultano ben attrezzate con procedure e uffici dedicati.

Come vi muoverete? «Il primo passo dovrebbe essere quello di creare dei centri per l’apprendimento permanente di Ateneo, con team professionali multidisciplinari composti da pedagogisti, psicologi e personale amministrativo con competenze nel diritto del lavoro. In seguito si dovrebbero adottare delle procedure di analisi, bilancio e certificazione delle competenze informali e non formali, magari secondo le linee guida proposte dalla Ruiap (Rete universitaria italiana per l’apprendimento permanente) che garantiscano un’uniformità di trattamento ed i più elevati standard europei. Si tratta sicuramente di fare dei grossi investimenti, ma è necessario ripensare al ruolo che le università avranno nei prossimi vent’anni e questi sono solo alcuni dei cambiamenti ai quali assisteremo».