Mario MolteniI primi quindici anni di una banca interamente dedicata alla finanza trasparente in Italia. Un traguardo che Banca Etica festeggia presentando uno studio sul suo impatto sociale - di cui parliamo qui a lato - realizzato dall’Alta Scuola Impresa e società dell’Università Cattolica (Altis). «Un segno importante della necessità e, ancor prima, della bellezza di fare impresa, e quindi anche di fare banca - afferma il direttore di Altis Mario Molteni, coordinatore scientifico dell'indagine -, tenendo conto di tutti i fattori in gioco nella vita aziendale. Banca Etica nasce come espressione di un mondo fortemente impegnato nel sociale e con la sua presenza lo protegge e lo promuove».

L’istituto di credito nato a Padova l’8 marzo del 1999 è molto più di un sogno: è una realtà che oggi conta 17 filiali sparse per tutta Italia che, insieme ai 25 banchieri ambulanti e ai servizi online, rendono la finanza etica accessibile in tutte le Regioni italiane. E, dal 2014, anche fuori confine, con il primo sportello a Bilbao.

L’anima di Banca Etica sono i suoi 37mila soci, in gran parte persone fisiche, che conferiscono i 46 milioni di capitale sociale. Con un tasso di sofferenze, cioè di crediti non rimborsati, decisamente inferiore alla media del sistema bancario italiano: nel 2013, 2,02% contro il 7,7% della media. Segno che la finanza etica, cioè basata sulla trasparenza degli investimenti, è una cosa seria. E, anche solo per occupare un segmento di mercato, contagia. Come è successo con la comparsa del commercio equo e solidale negli scaffali della Grande distribuzione.

Professor Molteni, è un caso che molte altre banche abbiano aperto linee etiche? L’uso un po’ indiscriminato della parola “etica” non mi convince. Direi piuttosto che iniziano a esserci segmenti del “fare banca” che accettano di aprire gli occhi.

In che senso? Non è neutro investire in un’impresa o in un’altra, perché ogni impresa promuove di fatto una certa cultura. Sostenerla solo in base alle prospettive di redditività è fare una scelta culturale ben precisa: una scelta di complice miopia. Ben vengano investimenti e fidi responsabili, inclusione finanziaria delle fasce più deboli e politiche di questo genere.
 
Che valore ha per il settore dell’imprenditorialità sociale la presenza di una banca del genere? Che ci siano banche attente ai fabbisogni finanziari del terzo settore, come Banca Etica o Banca Prossima, è essenziale per un’economia più attenta ai veri bisogni dell’uomo. Sono esperienze da moltiplicare.
 
Anche nella ristrutturazione finanziaria a cui ha messo mano Papa Francesco? Quello dello Ior è un fenomeno ben più complesso che conosco poco, su cui quindi non posso esprime re giudizi. Se tra le sue attività ha la gestione dei patrimoni depositati, il ricorso a talune metodologie sviluppate nell’ambito del Socially Responsible Investing può essere certamente utile.

In che prospettiva si inserisce il concetto di impatto sociale? Ogni azione imprenditoriale ha un impatto sociale: genera o riduce, direttamente o indirettamente, posti di lavoro, incorpora una concezione di uomo e del suo bene, veicola valori nella società, sviluppa una cultura tra gli stessi lavoratori, ha un impatto ambientale. È così, volenti o nolenti.

Cosa implica una prospettiva del genere? Accogliere una visione dell’economica che non tenti, dolosamente, di rimuovere il problema. Prenderlo in considerazione esplicitamente è segno di intelligenza e di responsabilità. Che poi sia difficile trovare indicatori e misure per valutare compiutamente l’impatto sociale di un comportamento aziendale, non toglie valore al tentativo. Anzi, è solo impegnandosi sempre più sistematicamente in simili tentativi che nel tempo indicatori e misure si affineranno.