Chi l’ha detto che i bambini e i ragazzi vogliono starsene da soli a giocare con la propria consolle o il tablet? Una ricerca del Cremit dell’Università Cattolica e Pepita onlus, presentata oggi a Expo Gate durante un incontro promosso da Assogiocattoli, dimostra che per i minori il videogioco è spesso una scelta di comodo perché non c’è altro da fare o perché non sono seguiti dagli adulti.

Il gioco come alimento per la relazione risponde alle domande cosa fanno genitori e figli? a cosa gioco? per quanto tempo? dove e in quale tessuto mi muovo quando gioco? Lo studio, basato su questionari rivolti a 538  bambini tra i 7 e i 12 anni, 314 ragazzi tra i 13 e i 16 anni e 276 genitori di minori dai 3 ai 16 anni per un totale di 1.128 soggetti intervistati tra Milano, Como, Varese, Monza - Brianza. Promuovere la cultura del gioco in famiglia e sollecitare negli adulti azioni educative per rendere il tessuto relazionale sempre più pieno è la questione educativa cruciale della ricerca.

Il gioco è innanzitutto relazione e stare con gli altri. E lo studio ha rivelato che sta con gli amici il 21% dei bambini e il 28% dei ragazzi e che il gioco rappresenta uno sfogo per il 12% dei bambini e per il 26% dei ragazzi. Per i genitori invece il gioco è più legato alla finzione e alla creatività che si esprime nelle attività manuali come il colorare, il costruire qualcosa con le proprie mani. Il tempo si trascorre prevalentemente a casa di amici: in cortile e ai giardini rispettivamente per 1-2 ore nel 41% dei casi e per 2-4 ore nel 24% dei casi per la categoria dei bambini e per 1-2 ore nel 37% e per 2-4 ore nel 17% die casi per la categoria dei ragazzi.

Il 30% dei figli gioca con fratelli e sorelle, il 29% da solo, il 20% con gli amici, il 10% con il papà e il 7% con la mamma. Ma il vero problema è la scarsa presenza dei genitori che durante la settimana dedicano al gioco con i figli meno di un’ora (nel 60% dei casi), o al massimo 1-2 ore (30%). L’impegno aumenta nel fine settimana quando il 37% di loro gioca per una o due ore e il 24% da 2 a 4 ore con figli tra i 7 e i 12 anni. Inoltre il 59% dei genitori videogioca con il proprio figlio, soprattutto se maschio tra i 9 e gli 11 anni.

«Il problema del gioco - ha dichiarato il professor Pier Cesare Rivoltella, coordinatore della ricerca e direttore del Cremit - sono i genitori. Nel senso che pur controllando (o pensando di controllare) le pratiche ludiche dei figli, di fatto sono poco presenti. Anche quando sono in casa è difficile capire se siano attivamente coinvolti. Questo, e non l’invadenza dei videogiochi, è un problema dal punto di vista educativo: inevitabilmente se si ritrovano soli i bambini gettano l’occhio sul tablet o sulla consolle. Anche quando giocano all’aria aperta e con i compagni bisognerebbe accompagnarli e dedicare loro del tempo».

Per i minori il videogioco è spesso una risposta alla noia o alla scarsa presenza dei genitori. Il 50% dei bambini intervistati “videogioca” da solo, il 23% con gli amici e il 15% online con sconosciuti, mentre la percentuale aumenta lievemente nel caso dei ragazzi tra i 13 e i 16 anni. E tra i dispositivi per “videogiocare” vince decisamente il tablet che viene usato dal 48% dei bambini (probabilmente perchè utilizzano quello di famiglia), mentre il 58% dei ragazzi sceglie lo smartphone, cifra che aumenta del 20% quando il cellulare diventa di loro proprietà. Quanto al controllo dell’uso di questi dispositivi da parte dei genitori le risposte sono diverse. Se i bambini sostengono di essere controllati solo rispetto al tempo dedicato ai videogiochi e non rispetto ai contenuti, i genitori smentiscono questa ipotesi.

Infine dalla ricerca emerge che i giochi in scatola e i videogiochi convivono. Quelli preferiti sono di avventura per il 20% e di sport per il 19% dei bambini, mentre di sport per il 20% e di guerra per il 15% dei ragazzi.

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