di Ivana Pais *

Flessibile, agile, imprenditivo: le narrazioni del lavoro che cambia finora hanno ruotato intorno ad aggettivi riferiti al lavoratore, a cui venivano richieste conoscenze, capacità e competenze nuove per adattarsi a un mondo del lavoro sempre più competitivo.

Qualcosa negli ultimi tempi sta cambiando: il fuoco dell'attenzione si sta spostando dal singolo lavoratore alla rete in cui è inserito. Il capitale umano acquista valore grazie al capitale sociale, alla rete di relazioni che consente la circolazione delle informazioni e delle conoscenze che creano competitività e innovazione. L'azione individuale e quella collettiva lasciano il posto all'azione connettiva. Il binomio lavoratore dipendente/autonomo è superato dalla necessità, per tutti, di essere lavoratori "interdipendenti": fare networking e coltivare reti di relazioni professionali diventa una delle competenze centrali per inserirsi e muoversi nel mercato del lavoro.

In passato il capitale sociale era prevalentemente il prodotto secondario di organizzazioni create per altri scopi (tempo libero, volontariato, eccetera), definite "appropriabili" perché i legami creati in quei contesti diventavano un canale per veicolare anche scambi di tipo professionale; oggi nascono organizzazioni "intenzionali", il cui obiettivo primario è la costruzione e il mantenimento di legami scelti. Organizzazioni che inizialmente sono state veicolate attraverso tecnologie di relazione (blog, comunità digitali, siti di social network) e che ora, oltre agli spazi digitali, iniziano a occupare anche quelli fisici. Si spiega in questo modo la rapida diffusione di spazi di coworking, ma anche fablab, maker space, hackerspace, oltre ai più tradizionali incubatori e acceleratori di impresa. Se negli anni Ottanta si parlava di "rivoluzione del tempo scelto", ora si pone la questione dello "spazio scelto": dove lavorare, come e soprattutto con chi. Un fenomeno accelerato dalla convergenza di alcune trasformazioni a livello macro: la miniaturizzazione delle tecnologie e la diffusione di soluzioni cosiddette "cloud" che consentono di accedere ai propri documenti da qualsiasi postazione, anche mobile; la diffusione del lavoro indipendente, particolarmente accentuata in Italia, dove interessa il 23% dell'occupazione complessiva; la digitalizzazione dell'economia (anche manifatturiera) e il rafforzamento di mercati globali del lavoro.

A queste trasformazioni si accompagnano importanti cambiamenti culturali, tra cui la rottura delle logiche di omofilia che hanno guidato finora l'organizzazione del lavoro: l'innovazione sociale, concetto attorno a cui ruota la nuova strategia Ue per la crescita, non nasce in gruppi di lavoro omogenei al loro interno (reparti, divisioni...) ma dall'incontro tra persone, competenze ed esperienze diverse. I coworking sono luoghi di lavoro condiviso e temporaneo: consentono di occupare una scrivania con una tariffa oraria, settimanale o mensile, e di usufruire dei servizi offerti all'interno dello spazio. Tra i più diffusi: hosting (persone che agevolano la costruzione di relazioni tra coworker); disponibilità di sale riunioni e di attrezzature (da wifi , fotocopiatrici, fax, stampanti, videoproiettore a strumenti per l'artigianato digitale, come stampanti 3d e laser cutter); spazio cucina e caffetteria; sale relax; seminari e corsi di formazione; in alcuni casi anche servizi di segreteria, personali (lavanderia, estetista, catering...) e di cura dei bambini.

Sono stati definiti "luogo terzo", oltre la casa e il lavoro, oppure "luogo passerella", perché àmbiti di contaminazione dove la prossimità fisica tra persone con competenze diverse genera nuove idee progettuali e la disponibilità di servizi facilita il passaggio dall'idea all'azione. L'ultimo Global Coworking Census a fi ne di febbraio 2013 ha mappato 110mila persone che lavorano in 2500 spazi di coworking in 81 Paesi, con una crescita di 4,5 nuovi spazi e 245 coworkers al giorno negli ultimi 12 mesi.

L'Italia si posiziona all'8° posto a livello mondiale, con 91 spazi mappati, dopo gli Stati Uniti (781), la Germania (230), la Spagna (199), il Regno Unito (154), il Giappone (129), la Francia (121) e il Brasile (95). Un numero sottostimato, se si considera che la sola rete Cowo conta 79 spazi, a cui si aggiungono 6 The Hub, 6 Talent Garden e un numero significativo di realtà autonome. È da poco online Coworkingfor, un motore di ricerca che in meno di un mese ha raccolto più di 200 spazi in Italia, mentre Copass si propone di metterli in rete, a livello internazionale.

Gli spazi si distinguono tra generalisti - che adottano un modello aperto, senza barriere all'ingresso (la rete Cowo, Toolbox di Torino, Lab121 di Alessandria) - e verticali, che selezionano i coworker in base al settore, alla professione o al progetto (The Hub per l'innovazione e l'imprenditoria sociale, Talent Garden per l'ambito web e comunicazione, Multiverso di Firenze per comunicazione, marketing e pubblicità...). Per i primi, uno dei compiti di chi gestisce lo spazio è trovare dei punti di contatto tra persone con competenze e professionalità differenti; negli spazi verticali è più importante costruire occasioni di apertura verso l'esterno. Per tutti, si tratta di trovare un equilibrio tra condivisione e contaminazione. A otto anni dall'apertura del primo coworking in Silicon Valley da un'idea del programmatore Brad Neuberg e cinque anni dal primo spazio in Italia (Cowo di Milano Lambrate), è ormai chiaro che l'obiettivo non è risparmiare sui costi della scrivania, ma migliorare la qualità della vita lavorativa e creare nuove opportunità di business e di lavoro. I destinatari privilegiati sono freelance e piccoli imprenditori, ma può interessare anche disoccupati e lavoratori dipendenti. Ed è per questo che le amministrazioni pubbliche iniziano a guardare ai coworking con interesse e a sperimentare attraverso questi spazi nuove politiche del lavoro. Le modalità finora adottate per sostenere il coworking possono essere ricondotte a tre modelli.

Il primo è il sostegno ai lavoratori che intendono usufruire di uno spazio di coworking, attraverso voucher individuali. L'iniziativa più significativa è stata promossa da Comune e Camera di Commercio di Milano, che hanno messo a disposizione un Fondo di 300mila euro per finanziare il 50% delle spese sostenute da 400 coworker milanesi (per un massimo di 1500 euro in 12 mesi) in spazi "qualificati". Gli spazi finora candidati sono 34: 4 non sono stati ammessi perché esterni al Comune di Milano, 24 sono stati approvati e 10 sono in sospeso per vizi di forma. È invece inferiore alle aspettative il numero di candidature per i voucher: 69 domande, di cui 31 imprese e 38 singoli; il 57% sono uomini e il 74% laureati. Si sta muovendo in questa direzione anche Giovanisì, progetto della Regione Toscana, e la formula del voucher è in discussione in Provincia di Roma.

Questo tipo di sostegno presenta i vantaggi e i limiti tipici dello strumento voucher: funziona solo dove l'offerta di servizi è particolarmente ampia (soprattutto nelle grandi città), con un'utenza informata e capace di selezionare sulla base dei propri bisogni. La seconda modalità è la creazione o il finanziamento di spazi coworking. Un caso particolarmente significativo è quello di Veglio, un Comune di poco più di 500 abitanti in provincia di Biella. Nell'agosto 2011 il sindaco ha partecipato a un bando del Segretariato Permanente della Convenzione delle Alpi, grazie al quale ha ottenuto un finanziamento per aprire uno spazio di coworking in un edificio pubblico non in uso. Il Comune mette a disposizione a titolo gratuito i locali, gli arredi, le attrezzature e parte dei consumi comuni (acqua, rifiuti e internet). L'obiettivo è favorire la stabilizzazione e l'incremento della residenzialità in aree alpine, oltre alla creazione di nuova imprenditorialità e al risparmio energetico legato alla riduzione del pendolarismo. Per realizzare il progetto sono stati coinvolti numerosi partner istituzionali, che offrono servizi integrativi ai cinque freelance attualmente operativi nel coworking (ad esempio, un interlocutore privilegiato per la gestione delle pratiche Inps).

Si tratta di iniziative utili nelle aree in cui non esiste o è più difficile aprire uno spazio di coworking. In caso contrario, si rischia la concorrenza tra pubblico e privato. È quanto sta succedendo a Rovereto, dove l'apertura di spazi provinciali destinati alle startup offerti a prezzi simbolici (30 euro al mese) hanno costretto The Hub a rivedere al ribasso il proprio tariffario da 250 a 50 euro al mese (la media europea rilevata da Deskwanted è 335 euro) e a cambiare il proprio modello di business, ora più orientato alla consulenza. Un progetto analogo è stato annunciato nel luglio 2012 dall'allora presidente della Provincia di Roma poi presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, che ha dichiarato l'intenzione di aprire 200 spazi di coworking sul territorio regionale. A dicembre 2012 è stato assegnato il primo spazio, presso l'ex Urban Center di Garbatella, per l'avvio del progetto pilota Millepiani coworking, in collaborazione con Aiap Lazio (Associazione design della comunicazione visiva); per la gestione del progetto è stata costituita un'associazione di promozione sociale.

Una via per evitare le criticità legate alla concorrenza pubblico privato è quella sperimentata dalla Provincia di Lucca, attraverso il cofinanziamento di spazi privati. Un'esperienza che presenta un elemento di specificità, perché il sostegno al coworking si integra con le politiche di genere (Legge 16/2009 della Regione Toscana): il finanziamento  è riservato a donne che intendano aprire un coworking nelle tre aree della provincia (18mila euro per spazio). Una volta aperti gli spazi, l'amministrazione prevede di mettere a disposizione voucher per i coworker. L'ultima modalità di sostegno al coworking è la partnership con il privato sociale per la promozione di progetti di sviluppo locale e innovazione sociale. Tra le esperienze più significative c'è il progetto di coworking promosso dalla Provincia di Alessandria in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e con la partecipazione della Regione Piemonte. L'amministrazione locale ha messo a disposizione gli spazi ora gestiti dall'associazione di promozione sociale Lab121. La collaborazione si gioca in termini progettuali, anziché di sostegno finanziario. Un progetto analogo sta guidando il temporary coworking con servizio di baby-sitting (chiamato co-baby) promosso da PianoC all'Idroscalo di Milano durante i mesi estivi negli spazi messi a disposizione dalla Provincia. Interessante anche l'esperienza di Omegna, dove il coworking è situato in una ex-fabbrica, da vent'anni trasformata nel Museo del casalingo, ed è sede del servizio di noleggio biciclette per la visita del lago, con la possibilità per turisti di acquistare pacchetti integrati di lavoro (coworking) e svago (gita al lago). Tra i progetti più ambiziosi si segnala quello avviato da Cowo Torino, che si propone di integrare in uno spazio comunale l'offerta integrata di servizi di pubblica utilità (ufficio postale, banca, Agenzia delle Entrate, Inps...), servizi per laureandi e neolaureati offerti dall'Università di Torino (soprattutto per il sostegno all'imprenditorialità) e coworking privato, con servizi orientati prevalentemente all'imprenditoria sociale.

Le tre modalità di sostegno al coworking sopra illustrate possono essere considerate a pieno titolo politiche attive del lavoro e vanno a innovare un settore che - ancora oggi - in Italia presenta un forte ritardo rispetto alle esperienze di altri Paesi europei. La questione chiave per valutarne l'efficacia riguarda gli obiettivi che intendono perseguire. Se lo scopo è dare una scrivania ai freelance, anche per ridurre i rischi di isolamento sociale, è importante analizzare i criteri individuati per erogare i voucher ai coworker o garantire l'accesso agli spazi pubblici, mentre le caratteristiche degli spazi di coworking - una volta verificate le norme di sicurezza - diventano meno rilevanti. Se l'obiettivo è sostenere il coworking come nuovo business, l'attenzione si sposta sulle caratteristiche dei soggetti che avviano questa attività e sul business plan; l'analisi delle caratteristiche dei coworker è funzionale esclusivamente alla sostenibilità dell'attività imprenditoriale.

Se le politiche pubbliche di sostegno al coworking sono orientate alla creazione di nuovi posti di lavoro, diventa centrale prendere in esame la qualità dei progetti - soprattutto imprenditoriali - avviati all'interno dello spazio e dei servizi di supporto offerti agli aspiranti imprenditori. In questo caso, il coworking rappresenta una parte di un sistema più ampio, che include acceleratori e incubatori. Oppure occorre misurare l'incremento delle attività professionali legate a opportunità veicolate attraverso altri coworker, anche tramite forme di mutualismo professionale, sempre più diffuse.

Infine, se ci si propone lo sviluppo dei territori in cui il coworking è insediato, lo sguardo si deve spostare dalla quantità/qualità del lavoro generato al loro interno alle ricadute che possono avere come acceleratori dei processi di innovazione del tessuto produttivo locale, attraverso partnership con imprese, associazioni e amministrazioni locali. Lo spazio di coworking può diventare un catalizzatore di iniziative di animazione territoriale, di tipo economico e/o culturale, oltre che un luogo di sperimentazione di nuove forme e culture del lavoro: un aspetto sempre più rilevante al crescere delle iniziative di coworking promosse direttamente da imprese e amministrazioni pubbliche come leva di cambiamento organizzativo. In questo caso, l'efficacia si misura in termini di impatto rispetto a indicatori di sviluppo locale e innovazione sociale. È evidente che ogni progetto di coworking può insistere contemporaneamente su più di un obiettivo e che si possono creare forme ibride. L'esplicitazione degli scopi e degli strumenti messi in campo per raggiungerli consente di orientare gli sforzi dell'amministrazione pubblica e di monitorare i risultati. In prospettiva, questo potrebbe anche agevolare la costruzione di una rete tra spazi e servizi di coworking e di conseguenza tra coworker.

In un momento di crisi, non solo economica e sociale ma anche progettuale, gli spazi di coworking si stanno configurando - più che come luoghi di lavoro - come catalizzatori di persone (giovani e non solo) orientate all'innovazione attraverso la collaborazione. Si tratta di iniziative nate dal basso che, come tratteggiato in queste pagine, iniziano a trovare ascolto e riscontro negli interlocutori pubblici più attenti. Le sinergie che stanno nascendo generano pratiche che potrebbero offrire spunti non solo nell'ambito delle politiche del lavoro, da cui sono nate, ma per politiche di innovazione sociale di più ampio respiro.

* Ivana Pais insegna Sociologia economica presso la Facoltà di Economia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Studia i social network e le comunità professionali online. Ha scritto, fra l'altro, La rete che lavora. mestieri e professioni nell'era digitale (2012, www.laretechelavora.com).