«Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». L’adagio, che rispecchia la saggezza popolare, può rivelare anche un valore investigativo, soprattutto nel caso della lotta alla criminalità organizzata. A dimostrarlo è il modello di ricerca elaborato da Transcrime, il centro studi interuniversitario del nostro ateneo che studia i fenomeni criminali. Un progetto condotto da Francesco Calderoni, che ha coinvolto nei suoi studi dottorandi e studenti della laurea magistrale in Scienze sociali applicate e si è aggiudicato un premio dell’ambasciata canadese in Italia, di cui parliamo qui a lato.

Il modello elaborato da Transcrime si basa sulla Social Network Analysis (Sna), un metodo che analizza le strutture, le funzioni e il contenuto delle reti sociali dei mafiosi. Calderoni ha sviluppato un modello quantitativo che valuta se la partecipazione agli incontri monitorati dalle forze dell’ordine durante un’indagine consente di capire e prevedere quali siano i ruoli all’interno di un’organizzazione mafiosa. Arrivando così a riformulare il proverbio popolare in: «Dimmi chi incontri e ti dirò se sei un boss».

La sperimentazione del modello comincia dopo la maxi-operazione di Polizia e Carabinieri coordinata dalle procure di Reggio Calabria e Milano che, il 13 luglio 2010, porta all’arresto di trecento persone di cui più della metà in Lombardia. I filmati degli investigatori riprendono incontri tra affiliati alla ‘ndrangheta in occasione di matrimoni e funerali, cioè quando le organizzazioni mafiose discutono anche di affari e gerarchie. Insieme a questi, sono documentati con maggiore frequenza gli incontri all’interno di locali e ristoranti delle zone in cui operano. Tra le carte dell’inchiesta compaiono tra Milano e hinterland 574 incontri a cui hanno partecipato 308 persone.

Per ogni incontro dell’operazione “Infinito” sono stati registrati la data, il luogo e i partecipanti identificati, concentrandosi solo su quelli con almeno quattro partecipanti (129 incontri per un totale di 215 individui).

«Gli incontri e la loro analisi - spiega Calderoni - consentono l’individuazione dei leader, personaggi per cui è indispensabile partecipare e incontrare altri affiliati». Da qui ha preso le mosse il tentativo di verificare se alcune misure di importanza dei soggetti calcolate mediante la Sna consentono di prevedere chi nella rete ha un ruolo di leadership. La possibilità di prevedere è determinata dalla “centralità d’interposizione”, cioè dalla capacità di un individuo di mettere in collegamento persone che non si conoscono direttamente. Una funzione di ponte caratteristica dei criminali di “successo”.

«L’analisi degli incontri e delle telefonate tra affiliati attraverso l’analisi di rete - aggiunge Lorella Garofalo, dottoranda in Criminologia, che nel 2011 ha svolto il suo lavoro di tesi per il curriculum “Scienze della criminalità e tecnologie per la sicurezza” partecipando alla ricerca - permette di valutare in modo più approfondito l’organizzazione sociale di un gruppo e soprattutto di metterne in luce alcuni aspetti chiave: il livello di coesione, il grado di collegamento dei soggetti, la presenza di sotto-gruppi e gli individui più centrali. Tutti elementi  che possono risultare di importanza strategica durante le investigazioni al fine di organizzare al meglio le risorse a disposizione e di indirizzare le attività di indagine».

Secondo Calderoni, i risultati dell’esercizio di previsione hanno consentito di classificare correttamente (leader o non leader) il 92.6% dei soggetti presenti nella rete. Una successiva estensione dell’analisi, ha consentito di verificare che la previsione è affidabile anche solo dopo pochi incontri.

Il gruppo di ricerca ora è alle prese con l’operazione “Minotauro”, l’inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Piemonte. Tra i protagonisti dell’analisi della rete sociale mafiosa, insieme a Francesco Calderoni, Elisa Superchi. A settembre discuterà la sua tesi di laurea magistrale in cui applica le tecniche dell’analisi di rete agli incontri di ‘ndrangheta annotati nell’ordinanza di custodia cautelare dell’indagine che ha portato nel 2011 a 151 arresti. «Analizzare gli incontri tra affiliati alla ‘ndrangheta - conclude la laureanda - può portare a una conoscenza più approfondita del fenomeno. Sviluppare un modello predittivo in grado di identificare i boss potrebbe risultare uno strumento utile durante le investigazioni».