locandinaIn un territorio molto ricco di imprese (1035 imprese ogni 100 abitanti) e dove una quota significativa della popolazione è ancora impiegata nel settore industriale (34,3% contro il 27,5% dato Lombardia), la crisi economica ha provocato un forte rallentamento dell’economia (diminuzione del tasso di crescita delle imprese, diminuzione del numero di imprenditori, aumento del ricorso alla cassa integrazione e aumento del tasso di disoccupazione), ma non ha arrestato la crescita della presenza di lavoratori stranieri (18.000 nuovi arrivi nel 2009 tra residenti, regolari non residenti e irregolari). La crisi economica ha reso la popolazione straniera ancora più indispensabile per le imprese industriali del territorio, che migliorano la loro competitività attraverso manodopera flessibile e a basso costo. Accanto alla crisi del mercato del lavoro, le ricerche, contenute nell’Annuario 2010 del Cirmib della sede bresciana, testimoniano un tendenziale aumento di atteggiamenti discriminatori o xenofobi, che ostacolano l’accesso alle risorse e ai servizi per la popolazione straniera. In questo momento il Centro ritiene, quindi, cruciale affrontare il tema delle relazioni italiani e stranieri, stimolando una riflessione critica nella popolazione, in base a dati, fenomeni e progetti concreti, che si realizzano nel territorio, in particolare sul tema del lavoro.

mons.MonariSecondo il Cirmib far emergere e mettere in primo piano le azioni positive che i cittadini autoctoni insieme agli stranieri riescono a intraprendere nei diversi campi per mostrare come in pratica ci sia una via d’uscita positiva tanto dalle emergenze quanto dalle situazioni di competizione o di sopraffazione, è una linea vincente, soprattutto per contrastare il crescere di atti discriminatori, segni di un dialogo interrotto o di chiusure localistiche che infrangono non solo diritti che hanno valore internazionale, ma anche possibilità di una buona convivenza. La linea vincente è quella del dialogo, che assume l’idea che l’altro, lo straniero è tra noi e va incontrato e da questo incontro se ne trae tutti beneficio. Si tratta di una convinzione in larga misura fondata sulla matrice cristiana, come ben ricorda la recente lettera pastorale di monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia. La lettera, datata 15 febbraio 2011, intitolata “Stranieri, ospiti, concittadini”, è indirizzata alle Comunità cristiane della Diocesi di Brescia, per tracciare le linee della Pastorale per gli immigrati. In esordio, il Vescovo ricorda un ambizioso progetto di convivenza, quello di “non essere più stranieri né ospiti, bensì concittadini dei santi e familiari di Dio”. È opportuno sottolineare che si tratta di un progetto, qualcosa a cui tendere, proprio perché ciascuno di noi fatica nel far cadere barriere e pregiudizi e a sentirsi quindi parte di una grande famiglia di uguali nei diritti e nelle opportunità.

Il fenomeno dell’immigrazione è colto nella Lettera pastorale in tutta la sua complessità sia come problema umano sia per le concrete politiche. Il Vescovo sottolinea come i movimenti dell’uomo da una terra all’altra siano antichi quanto l’uomo stesso, alla ricerca di condizioni migliori, ma non solo, spesso l’uomo si muove attratto dalla possibilità di allargare interessi e relazioni. Ma nella Lettera si coglie anche, con molto realismo, come le migrazioni portino a tensioni, a contrasti, a guerre e ciò comporta che non ci si faccia travolgere da questi conflitti, bensì che si impari a controllare e a dirigere le situazioni che di volta in volta si presentano, sviluppando «una sensibilità attenta sia da parte di chi arriva sia da parte di chi accoglie».

Monsignor Monari traccia quindi una linea chiara dell’accoglienza, che non è un fatto immediato, soprattutto in comunità molto organizzate e integrate come quelle bresciane, dove lo straniero fa fatica a entrare e a essere accettato. La possibilità di parlarsi, di capirsi diventa l’elemento chiave del dialogo che si va a costruire, innanzitutto un dialogo interreligioso, fondato sull’autenticità della propria esperienza di fede, che impedisce di “barare al gioco”; ma poi anche un dialogo esteso in ogni ambito di vita, che riconosce e accetta l’esistenza dell’altro e crea «ponti di collegamento che superano l’isolamento e la paura». Un dialogo, come sottolinea in modo chiaro il vescovo Monari, fondato sulla presa di coscienza delle diversità culturali, ma tutt’altro che “buonista”, un dialogo lontano da ogni massimalismo, che fa superare l’indifferenza, ma anche la tentazione al proselitismo, che «non nasce dall’amore per l’altro, ma dall’affermazione di sé»; in definitiva, un dialogo che «ha bisogno di una grande apertura di orizzonte e quindi di studio accurato, di equilibrio nell’interpretazione, di saggezza nelle decisioni». E di decisioni da prendere ce ne sono tante, tutti i giorni. La Lettera pastorale, in chiusura, entra direttamente nel merito della responsabilità politica dei cristiani di fronte all’immigrazione e ai concreti problemi che essa pone, come il dovere di garantire un lavoro regolare e equamente remunerato o il dovere di protezione ai rifugiati o il diritto alla cittadinanza italiana dei figli dei genitori stranieri, nati e cresciuti in Italia. La Lettera del vescovo di Brescia si chiude con un’esortazione a evitare o a impedire qualsiasi forma di discriminazione, un comportamento che «usa l’altro come fosse una cosa e finisce – per una specie di effetto-boomerag – per corrodere l’anima di chi lo compie».

Le politiche discriminatorie, così come il tendenziale aumento di atteggiamenti xenofobi anche nella realtà bresciana, che ostacolano l’accesso alle risorse e ai servizi e le carenze di interventi di accompagnamento di soggetti particolarmente bisognosi di protezione come i rifugiati e i richiedenti asilo sono ben documentati nell’Annuario 2010 del CIRMiB. Si tratta di un fuoco di attenzione assolutamente prioritario per la convivenza sociale, volto a chiarire soprattutto come la convivenza non possa prescindere dal riconoscimento dei diritti sociali, che consentono di far fronte a bisogni primari, ma al contempo portano un valore aggiunto, quello della percezione, fra gli immigrati, di far parte a tutti gli effetti della comunità in cui vivono e lavorano.

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