Il via libero definitivo ai decreti attuativi del contratto a tutele crescenti e della nuova riforma degli ammortizzatori sociali ha dato adito a diverse critiche. Eppure - al di là degli aspetti contraddittori come la liberalizzazione delle assunzioni a tempo determinato sancita dal decreto Poletti - il nuovo contratto introdotto dal Jobs Act potrebbe aprire uno spiraglio tra gli assunti a tempo determinato per rendere più stabili i rapporti con il datore di lavoro e contribuire a ridurne l’incertezza economica. Una conferma della maggior instabilità che caratterizza i contratti a tempo determinato arriva anche dal recente articolo “Earnings Instabilty and Tenure”, firmato dai professori Lorenzo Cappellari e Marco Leonardi, rispettivamente dell’Università Cattolica e dell’Università di Milano, in corso di pubblicazione sullo Scandinavian Journal of Economics.

Lo studio per la prima volta offre un’evidenza empirica all’opinione diffusa secondo cui la traiettoria dei redditi dei lavoratori a termine sia molto più incerta rispetto a quella di assunti con un contratto a tempo indeterminato, mostrando come le riforme Treu e Biagi l’abbiano resa ancora più incerta. «L’utilizzo dei contratti a tempo determinato in Italia è considerevolmente aumentato all’epoca della riforma Treu del 1997 - spiega Lorenzo Cappellari -. La nostra indagine, quindi, fa vedere come essa abbia fatto aumentare il grado di instabilità dei salari, dove per instabilità si intende quella parte della variazione del salario indipendente dal capitale umano del lavoratore, e quindi spesso imprevedibile. Ne sono un esempio la fluttuazione dei redditi di chi deve trovarsi un nuovo lavoro a seguito di una crisi aziendale».

Punto di partenza delle analisi dei due ricercatori sono state le informazioni provenienti dall’Inps relativamente ai redditi annuali lordi di un campione di circa 50.000 lavoratori dipendenti maschi, rappresentativo del settore privato dell’economia italiana. Per ciascuno di questi, sono stati presi in esame i dati reddituali sul periodo 1985-2003, prima e dopo l’introduzione del “Pacchetto Treu” del 1997 e della legge Biagi (2001 e 2003). È stato così possibile collegare l’incidenza dei contratti a tempo determinato con le fluttuazioni dei profili di reddito nell’arco della vita lavorativa, utilizzate dagli economisti per misurare l’instabilità dei redditi.

Gli studiosi, sulla base delle loro analisi, sono giunti alla conclusione che la riforma non ha riguardato tutto il mercato del lavoro in modo uniforme. Piuttosto ha colpito prevalentemente i giovani lavoratori e meno quelli adulti. «Confrontando l’instabilità dei redditi tra le generazioni interessate dalla riforma e quelle esenti è stato possibile quantificarne l’effetto - aggiunge il professor Cappellari -. Prima della riforma i giovani avevano un livello di instabilità di circa l’80% più elevato rispetto a quello degli anziani. Dopo la riforma il differenziale di instabilità tra giovani e anziani diventa 100%. Pertanto la riforma ha aumentato di circa il 20% l’instabilità».

Anche a parità di occupazione un lavoratore a termine ha redditi più instabili di un lavoratore a tempo indeterminato. «La ragione va attribuita ai fenomeni di apprendimento e investimento che caratterizzano il rapporto lavoratore-impresa - aggiunge il docente dell’Università Cattolica -. In sostanza, durante i primi anni del rapporto di lavoro impresa e lavoratore si conoscono e investono nella relazione. Ciò però vale nel caso di rapporti a tempo indeterminato, non per quelli di lavoro a termine il cui esito scontato non incentiva nessun investimento. Per esempio, in Italia nei primi tre anni del rapporto di lavoro il grado di instabilità si riduce del 20% all’anno; valori analoghi sono stati calcolati anche per gli Stati Uniti».

E proprio il nuovo contratto a tutele crescenti, pur se privo della tutela dell’articolo 18, sembrerebbe ai due ricercatori più idoneo a ridurre l’instabilità delle carriere reddituali. «Il contratto a tutele crescenti interviene riducendo i costi di licenziamento nella fase iniziale del rapporto di lavoro che è quella in cui i processi virtuosi di apprendimento di impresa e lavoratore hanno luogo - sostiene Lorenzo Cappellari -. Inoltre gode di generosi sgravi contributivi per le attivazioni del 2015 con l’obiettivo di indurre le imprese a utilizzare il contratto a tempo indeterminato invece del contratto a tempo determinato. Ma quando nel 2016 gli incentivi fiscali saranno esauriti, sarà necessario restringere la flessibilità di utilizzo del contratto a termine, attraverso la reintroduzione della causale o di un maggior costo di non-trasformazione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato».