Grazie a uno uno studio tutto italiano condotto da un team di ricercatori guidati dal direttore dell’Unità operativa di Endocrinologia e malattie del metabolismo del Policlinico universitario "Agostino Gemelli" dell’Università Cattolica di Roma, Alfredo Pontecorvi, il ruolo svolto dagli ormoni tiroidei della madre nello sviluppo embrio-fetale del sistema nervoso e di altri organi durante la gravidanza ora è più chiaro.

Fino a oggi infatti vi erano solo evidenze indirette del passaggio degli ormoni tiroidei dalla madre al feto attraverso la placenta durante la gravidanza. Tale evento è molto importante perché gli ormoni tiroidei materni sembrano giocare un ruolo chiave nello sviluppo del sistema nervoso e di altri organi del feto; tant’è vero che in caso di patologie tiroidee materne, come l’ipotiroidismo, si hanno riflessi diretti sul nascituro con riduzione, anche significativa, del suo quoziente intellettivo (QI).

Gli ormoni tiroidei svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo del sistema nervoso. La carenza di questi ormoni alla nascita, se non prontamente diagnosticata e curata, provoca gravi e irreversibili danni cerebrali, causando un irreversibile deficit mentale noto come cretinismo. Di fatto non si sviluppa adeguatamente la fitta rete di interconnessioni tra le cellule nervose (neuroni) mentre le singole fibre nervose non vengono correttamente rivestite dalla guaina mielinica, un involucro isolante simile alla guaina di gomma che riveste i fili elettrici, la quale permette il veloce trasferimento degli impulsi nervosi da un neurone all’altro. È come se in un impianto elettrico non fossero attivati tutti i contatti necessari e i fili elettrici fossero scoperti, con il risultato di un grave malfunzionamento di tutto l’impianto.

«Gli ormoni tiroidei sembrano essere importanti anche durante il periodo embrio-fetale, nel primo trimestre di gravidanza, quando la funzione tiroidea del feto non si è ancora attivata – spiega Pontecorvi - è in questo periodo, infatti, che i neuroni si riproducono, formando il patrimonio cerebrale di ciascuno di noi (circa 100 miliardi di neuroni), migrano nelle loro sedi definitive e si differenziano a costituire i diversi centri e strutture cerebrali. Da questo momento le cellule nervose non si riprodurranno più mentre, dai venti anni in poi, verranno perse da ciascuno di noi al ritmo di circa 100.000 al giorno. È quindi fondamentale che venga assicurato il giusto apporto di ormoni tiroidei materni nel periodo embrio-fetale di costruzione del nostro corredo neuronale».

Durante il primo trimestre di gravidanza si ritiene infatti che siano gli ormoni tiroidei materni a fornire al feto l’ormone tiroideo di cui ha bisogno, influenzando in tal modo lo sviluppo del suo patrimonio neuronale. «È noto che i figli di madri con ipotiroidismo durante la gravidanza mostrano un QI significativamente inferiore rispetto ai figli di madri con una funzione tiroidea normale – prosegue Pontecorvi - una simile riduzione del QI è stata osservata anche nel caso di madri gravide e con bassi livelli di tiroxina, anche se non propriamente ipotiroidee, una condizione che tende a verificarsi soprattutto in situazioni di carenza iodica. Ma tutte queste sono solo evidenze indirette in favore di un passaggio attraverso la placenta di ormoni tiroidei materni al feto».

Ciò che finora veniva soltanto ipotizzato o arguito è stato dimostrato da questa ricerca, ideata e realizzata in Italia, e appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Journal of Cellular and Molecular Medicine. Lo studio è stato condotto dal dott. Carmelo Nucera, attualmente ricercatore presso l’Università di Harvard negli USA, e dal Prof. Alfredo Pontecorvi con il contributo di altri studiosi italiani come il Prof. Vercelli (Istituto di Neuroscienze dell’Università di Torino), la dott.ssa Tiveron (Fondazione EBRI Rita Levi-Montalcini di Roma) e le dott.sse Sacchi, Farsetti e Moretti (Istituto dei Tumori “Regina Elena” e CNR di Roma).

Grazie a questa collaborazione multicentrica è stato realizzato un modello di topo transgenico che rivela la presenza e l’attività degli ormoni tiroidei materni assai precocemente, prima dell’inizio della funzione tiroidea fetale: «L’animale transgenico - spiega Pontecorvi - mediante un sensore molecolare da noi inserito nel DNA del topo, sviluppa un caratteristico colore blu quando e dove agiscono gli ormoni tiroidei e poiché nelle fasi precoci dello sviluppo fetale gli ormoni tiroidei non possono che essere di provenienza materna, vengono in questo modo evidenziati quegli organi e tessuti regolati selettivamente dall’ormone tiroideo materno. L’azione di questi ormoni appare particolarmente spiccata in alcune aree cerebrali come quelle da cui origineranno il talamo, una struttura coinvolta nella regolazione del comportamento dell’individuo, e l'ipotalamo, in cui si svilupperanno diversi centri regolatori di svariate funzioni endocrino-metaboliche. Ma anche altri tessuti sembrano risentire dell’azione ormonale tiroidea materna come quelli che daranno origine all’orecchio interno, l’occhio, la cute, nonché alcuni distretti del tubo gastro-intestinale».

Questo topo transgenico rappresenta un importante modello sperimentale per studiare gli effetti dannosi dell’ipotiroidismo e dell'ipertiroidismo materni durante la gravidanza, e per comprendere il ruolo degli ormoni tiroidei nella regolazione metabolica e termogenica nei pazienti obesi o con disfunzioni intestinali connesse a malattie della tiroide umana. «Il nostro topo transgenico potrà anche consentire di sperimentare nuovi farmaci capaci di mimare alcune delle azioni degli ormoni tiroidei per essere utilizzati nella terapia dello scompenso cardiaco, delle alterazioni del colesterolo nonché a scopo dimagrante. Esso potrà essere utilizzato - conclude Pontecorvi - anche per analizzare gli effetti di diversi contaminanti ambientali che possono esibire azioni tiroido-mimetiche o anti-tiroidee, come alcuni filtri solari o le sostanze rilasciate dalle padelle antiaderenti, di cui si è molto parlato anche di recente».