Maggiori investimenti pubblici nel settore della protezione sociale potrebbero favorire una diminuzione del tasso di criminalità: un incremento pari al 10% ne determinerebbe una riduzione di circa il 20-25%. E ancora: stili di vita caratterizzati da una maggiore attenzione al futuro porterebbero a un calo dei comportamenti criminali, mentre quelli più legati a una visione dettata dal presente ne incrementerebbero la portata. Se, per esempio, aumentasse il tasso di nuzialità del 10% i reati di natura patrimoniale calerebbero del 6%, come pure si abbasserebbero del 15-20% quelli di natura violenta. Viceversa se, per assurdo, aumentasse il tasso di obesità del 10% l’aumento dei reati di natura patrimoniale sarebbe pari al 3%, laddove l’aumento dei crimini di natura violenta sarebbe pari al 10%.

Questi sono solo alcuni dati emersi da una serie di indagini condotte da ricercatori di diversi atenei che hanno studiato il fenomeno criminale dal punto di vista economico, con un particolare focus sulle eventuali associazioni e sovrapposizioni del crimine organizzato con alcuni settori dell’economia legale e illegale. I dati complessivi sono stati illustrati durante il convegno di studio: Alle radici del crimine che si è tenuto mercoledì 11 maggio nella cripta dell’Aula Magna dell’Università Cattolica. Il seminario, organizzato dall’Istituto di Politica economica dell’ateneo del Sacro Cuore, rientra nel ciclo di incontri promosso dall’Associazione Libera con sette Università milanesi - Cattolica, Università Statale, Bicocca, Bocconi, Politecnico, Naba e Iulm - nato con l’obiettivo di informare e sensibilizzare i cittadini, e in particolar modo gli studenti, sul tema della presenza delle mafie nelle regioni settentrionali.

«È importante lavorare con i giovani affinché questi affinino le proprie competenze e conoscenze scientifiche nei confronti del fenomeno criminale e, quindi, creare le basi giuste per contrastarlo», ha detto Francesco Pisa, dell’Associazione Libera, che ha aperto i lavori del seminario della Cattolica. «Bisogna lavorare in profondità. In questo senso le università diventano un luogo privilegiato. Per questo motivo puntiamo a far sì che l’anno prossimo altri atenei possano aggiungersi a quest’iniziativa».

Parole che Luigi Campiglio, docente di Politica economica in Cattolica e tra i promotori dell’iniziativa che ha preso il via più di un anno fa nella città di Milano, ha condiviso in pieno: «Alcune virtù del vivere civile diventano patrimonio personale delle persone solo se assorbite quando si è molto giovani, quando cioè la famiglia è ancora il solo soggetto sociale rilevante che può trasmetterle ai figli». La riflessione economica contemporanea, ha aggiunto il docente, ha ormai dimostrato con grande evidenza come il rispetto di regole sociali, quali l’onestà e la legalità, la condivisione di valori comuni, come la fiducia, il riconoscimento del lavoro come valore fondante del rispetto di sé, nonché qualità come la creatività, la tenacia e la sicurezza di sé nell’affrontare i problemi, siano le premesse centrali da cui è possibile promuovere un processo di sviluppo genuino, per le generazioni presenti e future.

Al centro della giornata di studio l’analisi di alcuni “driver” che, più di altri, contribuiscono al radicamento di comportamenti criminali. È il caso della spesa pubblica e dei grandi appalti. Come evidenziato dal’indagine Il crimine e le infiltrazioni nell’amministrazione pubblica, presentata da Raul Caruso, ricercatore presso l’ateneo di largo Gemelli. «Esiste un’associazione positiva significativa tra gli investimenti nel settore delle costruzioni e l’indice di criminalità organizzata – ha spiegato il ricercatore –. In particolare, se gli investimenti nel settore delle costruzioni aumentassero del 10%, l’incremento dell’indice di criminalità organizzato andrebbe stimato pari al 3%». Medesima considerazione va fatta se si guarda agli investimenti nel settore sanitario. «Se la spesa pubblica nel settore della sanità aumentasse del 10%, si stima un aumento dell’indice di criminalità organizzata di circa il 10-11%». Le cause? «La spesa pubblica, come pure i grandi appalti – ha commentato Caruso – rappresentano agli occhi delle criminalità organizzate una torta più appetitosa e facilmente aggredibile». Al contrario, c’è un’associazione negativa tra spese per protezione sociale e indice di criminalità. «Sembra ragionevole pensare, infatti, che le spese finalizzate all’inclusione e alla protezione sociale riescano a generare comportamenti positivi, contribuendo a creare comportamenti migliori. Effetti positivi che si possono raggiungere con incentivi in attività imprenditoriali sane».

Ma esiste anche una stretta connessione tra crimine, iniziative imprenditoriali non dichiarate ed evasione fiscale. Come ha messo in luce lo studio L'economia sommersa tra evasione e crimine: stime per l’Italia, condotta da Gilberto Turati, insieme a Guerino Ardizzi, della Banca d’Italia, Carmelo Petraglia, dell’Università di Napoli “Federico II”, e Massimiliano Piacenza, dell’Università di Torino. Dall’indagine – effettuata applicando al sistema Italia un metodo nuovo, quello dell’“approccio monetario”, che mette insieme evasione fiscale ed attività illegali – risulta che il sommerso fiscale in Italia genera un valore complessivo dell’economia sommersa di oltre il 27% del Pil, una percentuale di gran lunga superiore rispetto alle stime ufficiali che parlano del 16,5%. Si tratta di un dato elevato – ha dichiarato Turati – che non fa fare bella figura al nostro Paese: siamo tra i peggiori a livello europeo: solo Belgio, Portogallo, Spagna e Grecia superano il 20% di sommerso. L'Italia ha tassi simili a quelli del Sudafrica (29,5%) e peggiori rispetto a quelli di Siria (21,6%) e Giordania». Un secondo risultato dell’indagine riguarda l’evidenza disaggregata per aree territoriali. Dalle analisi emerge che le province del Centro-Nord, in media, esibiscono un’incidenza maggiore rispetto al Sud sia del sommerso da evasione (18,5% vs. 12%), sia di quello associato ad attività illegali (12,5% versus 7,3%). «Cifre che – ha osservato Turati – paiono contraddire l’opinione diffusa secondo cui il Mezzogiorno sarebbe il principale responsabile della formazione dell’economia sommersa italiana. E che invitano a riflettere sulla capacità delle organizzazioni criminali, che hanno centri decisionali localizzati in prevalenza al Sud, di “esportare” traffici illeciti, soprattutto droga, nelle aree più benestanti del Paese dove, si concentra la domanda pagante».