di Laura Gotti Tedeschi

Paolo MeucciIn un momento in cui nel nostro paese sono più i cervelli che fuggono all’estero di quelli che restano in patria, un giovane ricercatore ha svettato nel bando Giovani Ricercatori 2010 del ministero della Salute. Paolo Meucci, laureato nella specialistica in Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità e ora iscritto al dottorato in Persona, sviluppo, apprendimento: Prospettive epistemologiche, teoriche ed applicative, coordinato dalla professoressa Antonella Marchetti, ha vinto come primo classificato nella graduatoria nazionale definitiva: 295 progetti finanziati e 2.826 presentati e valutati da due commissioni di ricercatori stranieri. Il progetto premiato si chiama “Roddi - New Robotic Platform for Rehabilitation of Children with Pervasive Developmental Disorders and Cognitive Impairments”.

La notizia è che all’interno di un ambito strettamente sanitario – nel bando del Ministero si invita infatti alla “presentazione di progetti di ricerca clinico assistenziale e biomedica” – è passato un progetto di ricerca la cui prospettiva pedagogica integra un approccio medico valorizzando il lavoro multidisciplinare per affrontare un problema complesso come quello dei disturbi pervasivi dello sviluppo nel bambino. «Il progetto - spiega il giovane dottorando che lavora con la supervisione del professor Adriano Pessina - è incentrato sullo sviluppo di un robot-giocattolo di nome Roddi, che possa essere utilizzato nella prospettiva di studiare in maniera multidisciplinare il problema della relazionalità dei bambini affetti da autismo. Questo progetto coinvolgerà dai 10 ai 20 bambini che frequenteranno il Centro “L’Abilità” di Milano, specializzato nella presa in carico di bambini con disabilità e nello sviluppo di attività di gioco. La durata dello studio è di tre anni. Dopo un primo anno di progettazione e finalizzazione del gioco, i bambini verranno coinvolti quotidianamente in attività di gioco strutturato in cui avranno la possibilità di interfacciarsi con Roddi. Questa attività ha l’obiettivo di facilitare l’interazione condivisa tra bambino, gioco e un educatore. Al fine di non interferire con le attività del bambino, ma con l’obiettivo di garantire un attento monitoraggio del progetto, le sessioni di gioco verranno videoregistrate e successivamente analizzate. Inoltre ulteriori valutazioni specifiche verranno condotte ogni tre mesi».

A cosa serve la robotica in questo esperimento?
Finora la letteratura scientifica ha dimostrato l’utilità della robotica al fine di creare stimoli stabili e ripetitivi in grado di attirare l’attenzione dei bambini con autismo. Inoltre, ci permette di pensare a un gioco che possa stimolare il bambino attraverso diverse modalità sensoriali, modulate in base alle reazioni che possiamo cogliere nel bambino. Il gioco robotico potrà infine registrare alcuni parametri, quali ad esempio la durata della manipolazione da parte del bambino, che potranno contribuire al processo di valutazione dello studio.

Qual è la novità di questo progetto?
«La novità di tale progetto è quella di concentrarsi su un aspetto dell’autismo, quello della relazione, integrando la prospettiva strettamente medico-riabilitativa con una prospettiva pedagogica. Il gioco non verrà utilizzato solo per la sua funzione attrattiva, ma si vuole sperimentare la possibilità che Roddi funga da facilitatore della relazione tra bambino ed educatore».

Qual è il suo ruolo?
«Il mio compito sarà quello di coordinare il progetto nei suoi diversi passaggi. La cosa fondamentale per la buona riuscita dello studio sarà però l’integrazione delle diverse competenze del gruppo di ricerca, che già nella fase di progettazione ha visto la collaborazione di medici, psicologi, pedagogisti ed ingegneri.

E i genitori in che modo rientrano nel progetto?
È essenziale che i genitori condividano il progetto e si sentano motivati. Verranno coinvolti attivamente nel processo di valutazione in quanto potranno fornire importanti informazioni sul funzionamento del bambino nel suo contesto naturale.

Si aspettava che il suo progetto passasse?
«Mi sembra ancora incredibile. Ma il fatto davvero rilevante è che sia stato premiato un progetto che vede la stretta collaborazione tra mondo sanitario e mondo dell’educazione. Ciò in fondo dimostra anche che il tema della disabilità può e deve essere affrontato da un punto di vista che non sia solo medico ma che riguardi anche l’aspetto del curare e del prendersi cura.

Ha intenzione di “fuggire” all’estero anche lei dopo la realizzazione del progetto?
«No. Sono consapevole che le cose non siano facili qui, e che forse avrei molte più possibilità se partissi. Ma io voglio provarci, voglio davvero che questa opportunità che mi è stata data porti frutto. E per raggiungere il mio complesso obiettivo, lo ripeto, non posso essere da solo, ma ho bisogno della collaborazione di tanti altri, e ho fiducia in questo.


Il progetto “Roddi - New Robotic Platform for Rehabilitation of Children with Pervasive Developmental Disorders and Cognitive Impairments” è stato sviluppato in collaborazione con Ambra Giovannetti e Milda Cerniauskaite, ricercatrici della Fondazione Ircss Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, due ricercatrici del BioRobotics Institute del Sant’Anna di Pisa, Francesca Cecchi e Cecilia Laschi, dirette dal Paolo Dario e Carlo Riva, direttore del centro per bambini con disabilità “L’Abilità” di Milano".