Da cosa nasce la voglia tanto diffusa di farsi un “selfie”? Secondo una ricerca condotta da dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e promossa da Fondazione IBSA, a farla da padrone è il desiderio di sentirsi apprezzati dagli altri, seguito dalla vanità e dal bisogno di raccontare un momento della propria vita e solo in minima parte dalla volontà di sedurre.

I risultati completi dello studio psicologico, condotto dal team del professor Giuseppe Riva su 150 giovani adulti, sono stati presentati il 28 ottobre all’Università Cattolica del Sacro Cuore nella Cripta dell’Aula Magna in largo Gemelli 1 a Milano , nel convegno “Mente e social media: come cambia l’individuo?”, con la partecipazione di Silvia Misiti, direttore di Fondazione IBSA per la ricerca scientifica (www.fondazioneibsa.org), Gianni Riotta, Kate Davis, autrice di Generazione App, Giuseppe Riva con la moderazione di Pierangelo Garzia.

Un incontro tra studiosi ed esperti internazionali dei social media in cui discutere l’impatto di queste tecnologie nelle nostre vite e, soprattutto, affrontare il tema se abbiano un ruolo, o meno, nel modificare la nostra individualità.

«Un selfie - spiega Giuseppe Riva -  è da considerarsi differente da un semplice “autoscatto”, il quale non prevede la componente social della condivisione, e anche da un self-shot, termine che nel contesto dei nuovi media è arrivato a identificare le fotografie di se stessi a tema erotico. Vista la diffusione dei selfie, e il grande interesse che essi suscitano presso l’opinione pubblica, la stampa specializzata internazionale ha cercato spesso di approfondire il fenomeno, cercando di comprendere la sua natura, il suo significato e le sue conseguenze. «La nostra ricerca, tuttora in corso - prosegue Riva -  ha tre obiettivi conoscitivi principali: comprendere perchè le persone si fanno i selfie (quali motivazioni le spingono); se ci sono differenze tra uomini e donne per quanto riguarda questa pratica; analizzare le possibili caratteristiche psicologiche, dal punto di vista della personalità, delle persone che si fanno selfie.
La ricerca ha già mostrato dei risultati preliminari interessanti per quel che riguarda tutti e tre gli obiettivi (agosto-ottobre 2014). 150 partecipanti (35% maschi, 65% femmine), con età media di 32 anni, hanno completato un questionario sui dati anagrafici; uno sul loro utilizzo di social media, sull’attività del selfie e sulle motivazioni associate ad esso; il questionario Big Five Inventory per la misurazione dei tratti di personalità.

Per quanto riguarda il primo obiettivo di ricerca, è emerso che gli scopi riconosciuti all’attività del selfie sono soprattutto “far ridere e divertire gli altri” (39%), “vanità” (30%) e “raccontare un momento della propria vita” (21%). Quanto ai motivi per cui le persone si fanno i selfie, emerge che se li fanno non tanto per esprimere come sono o come si sentono (identità, aspetti interiori) bensì per raccontare agli altri con chi sono, dove sono e cosa stanno facendo (aspetti esteriori).
Per quanto riguarda il secondo obiettivo di ricerca, le donne si fanno notevolmente più selfie degli uomini, e risultano più interessate alle motivazioni interiori (“mi faccio selfie per mostrare come sono e come mi sento”). Inoltre, affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici sui social network, e anche di temere maggiormente di ricevere commenti negativi dagli altri.
Per quanto riguarda l’ultima domanda di ricerca - conclude Giuseppe Riva - sono tre gli aspetti della personalità che risultano associati all’attività del selfie. Le persone che si fanno selfie, rispetto a coloro che non se li fanno, appaiono significativamente più estroverse (ovvero più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali) e più coscienziose (ovvero più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso). Inoltre, essere molto estroversi si associa a un maggior utilizzo dei selfie per mostrare agli altri “come ci si sente”, mentre essere molto coscienziosi si associa al non essere particolarmente interessati ai commenti degli altri ai propri selfie, positivi o negativi che siano. Da ultimo, il tratto del neuroticismo o instabilità emotiva (tipico di persone che tendono a provare emozioni negative come rabbia e tristezza, sovente diffidenti nei confronti degli altri) si associa significativamente all’essere particolarmente preoccupati dalla possibilità di ricevere commenti negativi».

Secondo il giornalista e scrittore Gianni Riotta autore di Il web ci rende liberi? (Einaudi), tra i relatori dell’incontro, già docente di comunicazione a Princeton e residente a New York, «ci sono grandi differenze tra gli USA e l’UE quando si parla di sviluppo & tecnologia in generale. La cultura USA è in generale più aperta al cambiamento, fiduciosa verso la tecnologia, più modernizzante: pensiamo ad esempio all’irruzione dello shale gas nel mercato energetico o alla accettazione degli OGM negli States, e pensiamo invece alle barriere e alle paure che molte innovazioni sollevano in Europa». «La società italiana sta rallentando - prosegue Riotta - l’Italia ha paura dell’innovazione, va online ma non utilizza il web con lo stesso atteggiamento di ricerca che si riscontra all’estero - ricerche internazionali ma anche nazionali da anni mostrano una predilezione italiana per i social network (e soprattutto per FB rispetto a Twitter ad esempio, fatta eccezione per i giovani che prediligono Twitter e Whatsapp). Se usiamo il web in modo intelligente abbiamo accesso a una tecnologia che apre possibilità e per questo è affascinante. Dobbiamo ricordarci però che dietro alla tecnologia ci sono le persone: pensiamo al successo di alcuni personaggi, come lo stesso Papa Bergoglio, per la forza del loro messaggio e la capacità di fare engagement».


Infine, con l’intervento di Kate Davis, professore associato all’University of Washington Information School, autrice con Howard Gardner di Generazione App. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale (Feltrinelli), si è entrati nel vivo di una domanda cruciale: quali sono le implicazioni nello sviluppare la propria mente e la propria identità in un mondo digitale? Nel suo intervento, Davis ha esplorato il ruolo dei media digitali in tre aree vitali della vita adolescenziale: l’identità, l’intimità e l'immaginazione. Basandosi su un ampio e vario programma di ricerca svolto con i colleghi della Harvard University, comprese interviste dirette con i giovani, focus group di coloro che lavorano con loro, nonché un raffronto originale e unico di produzioni artistiche giovanili, prima e dopo la rivoluzione digitale, Davis ha esplorato sia le potenzialità che gli svantaggi delle nuove tecnologie multimediali per i giovani di oggi. La metafora della "app" servirà ad illuminare gli usi di una tecnologia che promuove un forte senso di identità, favorisce relazioni profonde, stimola la creatività, e anche gli usi che pongono sfide per lo sviluppo dei giovani nelle tre aree vitali summenzionate. «Le app e le altre tecnologie multimediali - sottolinea Kate Davis - di per sé non inducono la gente a comportarsi in un certo modo, è l'interazione tra tecnologia e società che incoraggia certe forme di comportamento, auto-espressione e comunicazione, come allo stesso tempo come ne scoraggiano altri».

La Fondazione IBSA ha voluto supportare l’organizzazione di questo workshop per allargare il suo perimetro d’attenzione da quelli che sono gli aspetti più scientifici, trattati nei nostri forum e incontri, a una prospettiva culturale più ampia che parte più dall’individuo fino a coinvolgere la nostra società - afferma Silvia Misiti, direttore della Fondazione IBSA -. Particolare interesse è stato posto, ancora una volta, sui giovani. Oltre alle nostre iniziative che hanno come scopo quello di sostenere i loro studi, in questa occasione abbiamo voluto proporre un momento di dibattito su quella che già costituisce, e sempre più costituirà, una delle maggiori sfide del nostro tempo: l’impatto che le nuove tecnologie hanno e avranno sulle individualità dei cosiddetti nativi digitali. Per comprendere meglio questo fenomeno abbiamo inoltre voluto supportare la ricerca del Prof. Riva e del suo team dell’Università Cattolica sul selfie, fenomeno ormai globale che si sta affermando come una vera e propria forma di espressione della propria personalità”.