Bastano due parole con Sonia Livingstone per capire che è una persona fuori dal comune. Il suo curriculum lo conferma: docente alla London School of Economics, “visiting professor” in università di tutto il mondo, ex presidente della International Communication Association. E ancora: coordinatrice di Eu Kids Online, un progetto di ricerca diffuso in 33 paesi che studia l’uso dei new media da parte dei più giovani, di cui OssCom, il centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica, è referente italiano.

A cosa sta lavorando insieme alla Cattolica?
«Con i colleghi dell’ateneo milanese ci stiamo concentrando sulla ricerca di metodi innovativi per affrontare nuove sfide. Come si fa a studiare i giovani nel loro rapporto quotidiano con i social media? Come devono comportarsi i genitori per tutelare i figli dai rischi legati alla rete? Le scuole come possono utilizzare gli strumenti digitali per facilitare l’apprendimento? Uno dei nostri progetti su questi temi è Developing & Investigating Methodologies for Researching Connected Learning (Dimrcl). Stiamo riflettendo poi sui nostri stessi metodi: con Elisabetta Locatelli abbiamo deciso di scrivere un pezzo sull’etica della ricerca, per capire come affrontare alcuni dilemmi negli studi che coinvolgono i più giovani».

Un ricercatore quali problemi etici si trova costretto ad affrontare?
«Noi studiosi, per fare un esempio, chiediamo il consenso informato ai ragazzi, che consapevolmente accettano di farci osservare le loro attività su Facebook. Ma i loro amici? Non domandiamo a tutti se possiamo guardare i loro profili. Vediamo ciò che scrivono, le foto che pubblicano, ma senza il loro permesso. Un altro problema riguarda in modo più specifico il ricercatore. Se devo studiare l’uso che un teenager fa di Facebook, devo chiedergli l’«amicizia» sul social network. Così, però, anche lui potrà osservare il mio profilo, vedere chi sono, addirittura scrivermi in bacheca, rischiando di alterare l’oggettività dei risultati».

Ha accennato al connected learning: può spiegare esattamente di cosa si tratta? È l’apprendimento del futuro?
«La scuola potrà diventare molto più appassionante, se riuscirà a usare i mezzi e i linguaggi che i giovani sentono propri. I digital media possono fare da ponte in questa transizione rivoluzionaria: portare in classe i veri interessi dei ragazzi, e trovare dei metodi nuovi per rendere più accattivanti le lezioni, spesso considerate invece noiose e standardizzate. Il connected learning consisterà proprio in questo: imparare on e offline, anche giocando, attraverso diversi mezzi e spazi nella rete».

Nella pratica, come porta avanti queste ricerche?
«In Inghilterra passo molto tempo in una classe di ragazzini di 13 anni. Osservo cosa fanno a scuola e come i dispositivi tecnologici vengono usati durante le lezioni. Seguo gli studenti a casa, per osservare come usano internet, Facebook. Il mio obiettivo è capire quali siano i loro veri interessi. Il sabato pomeriggio, per esempio, al posto di andare a giocare a calcio ho notato che molto spesso rimangono a casa a caricare foto su Facebook o a chattare con gli amici. Una volta elaborati i risultati, cercheremo con la scuola di capire come usare i social media e la rete per coinvolgere di più i ragazzi».

Eu Kids Online è focalizzato soprattutto sulla sicurezza in rete. Il digital divide tra genitori e figli può essere un problema?
«I genitori non sanno esattamente cosa fanno i figli su internet. È un nuovo mezzo per gli adulti, per cui fanno più fatica a controllare i giovani e ad aiutarli a orientarsi sul web. In questo caso, però, la scarsa conoscenza è un’opportunità: i genitori possono condividere internet con i figli, smettendola così di esserne spaventati o intimiditi. Anzi, è un’occasione per imparare insieme».

I teenager si rendono conto dei rischi che possono correre sui social network?
«Anche i più giovani conoscono i pericoli collegati a questi media, come il rischio di subire gli approcci di pedofili. Non capiscono, però, che attraverso Facebook e altri social creano una certa immagine di se stessi, che oltretutto si conserverà nel tempo. Non si preoccupano di quale impressione danno di sé attraverso il profilo personale, e non si rendono conto del fatto che non viene dimenticato nulla, tutto rimane. C’è sempre un gap tra quello che si fa il sabato notte, e come vuoi apparire il lunedì mattina».