di Massimo Scaglioni

“Sanremo, se tutto va bene”. Se ancora non ve ne siete accorti, nonostante la martellante campagna di promo on-air sui canali Rai, fra qualche giorno, come sempre da decenni, parte la “settimana di Sanremo”. Dal classico “Sanremo è Sanremo”, tautologia coniata in “epoca Baudo” e perfettamente calzante per spiegare il Festival (magari a uno straniero ignaro dell’inossidabile rito nazional-popolare), siamo passati alla formula ipotetica impiegata quest’anno per ironizzare un po’ sulle immagini di Claudio Baglioni che ruzzola dalla scalinata floreale. 

Il promo coglie in verità molto bene un altro ingrediente immancabile di Sanremo: l’attesa dell’imprevisto, del caso, della polemica, genuina o suscitata ad arte… Nelle scorse settimane ne abbiamo avuto un antipasto: Baglioni che critica il governo “sovranista” sul tema dei migranti e la telefonata “chiarificatrice” col ministro Matteo Salvini. E ancora: Baglioni e il presunto “conflitto di interesse” con la società di Ferdinando Salzano, che gestirebbe dieci cantanti in gara più lo stesso direttore artistico (secondo Linkiesta e Striscia la notizia). Sanremo è Sanremo, e non potrebbe iniziare se non con un carico di polemiche preventive. 

Quella che segue è una sintetica guida per arrivare preparati alla “settimana di Sanremo”: giorni di maratona catodica durante i quali, volentieri o recalcitranti, non parleremo né sentiremo parlare d’altro.

Ascolti. È il primo, immancabile tormentone del Festival. Alle dieci del mattino di mercoledì prossimo si inizieranno a snocciolare dati per capire se il “Baglioni 2” ha battuto il “Baglioni 1” del 2018 (che era partito col record degli 11.603.000 spettatori medi per le due parti del Festival). Al di là del gioco dei vincitori e dei vinti, dietro ai numeri si nasconde una faccenda seria: il Festival ha costi molto elevati (si parla di 18 milioni di euro) e deve fare cassa coi grandi investimenti di sponsor e imprese. La Rai si attende ricavi per almeno 25 milioni di euro: se questi sono i numeri, Sanremo, con la sua centralità culturale ed economica, resta un buon affare per la Tv di Stato. 

Cantanti. Conflitti di interesse a parte, i cantanti di Sanremo devono essere, nel loro complesso, il più possibile trasversali, piacere ai nonni (alcuni) e ai nipoti (altri). Per questa ragione l’offerta musicale di Sanremo è un bel piatto misto, con diverse provenienze: dai talent (soprattutto Amici ma anche X Factor; qualcuno, come Enrico Nigiotti, li ha collezionati entrambi) al rap e al trap, dal solito pop melodico agli “indie” nazionali. Ma è inutile illudersi: checché ne dica Baglioni, Sanremo non è il Festival della canzone, piuttosto è il Festival della televisione.

Conduttori. Formula che funziona non si cambia. E dunque rieccoci col direttore artistico che coordina una coppia di co-conduttori: un attore (Pierfrancesco Favino) e una presentatrice (Michelle Hunziker) l’anno passato, e due comici quest’anno. Virginia Raffaele e Claudio Bisio sono due riconosciuti professionisti, non propriamente nel miglior periodo della loro carriera. La Raffaele, esilarante in sketch e imitazioni, ha provato l’anno scorso la strada della commedia “scripted” con “Come Quando Fuori Piove” (in onda su Nove), con risultati deludenti. Sanremo come terreno di rilancio?

Programmazione. O meglio, contro-programmazione. La televisione generalista è un mezzo che vive della contrapposizione di proposte diverse, per conquistare l’attenzione degli spettatori. Sanremo rappresenta un’eccezione, una pausa, una parentesi. Non fa eccezione il Sanremo 2019. Le altre reti si spengono, con qualche raro sussulto: resiste la politica su Raitre e La7, il solito creativo Carlo Freccero propone film del tutto inconciliabili col clima sanremese, per catturare a Raidue spettatori che vogliono sfuggire al Festival (per esempio The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese), e Canale 5 ci regala un ciclo di commedie dirette dai Vanzina. 

Votazioni. I criteri di votazione per la scelta del vincitore fra le 24 canzoni in gara sono, se possibile, più complicati che mai. Ci sono sì le giurie degli esperti e la mitica “sala stampa”, composta dai giornalisti di settore presenti in Riviera. Ma in epoca “sovranista” “le élite” contano decisamente meno della cosiddetta “giuria demoscopica” e, soprattutto, del televoto. Complessi calcoli di pesi e contrappesi fra questi quattro “corpi votanti” fanno sì che il Sanremellum sia più inspiegabile del Mattarellum o del Consultellum. E, d’altronde, Sanremo è in Italia faccenda tanto seria quanto le elezioni. 

Vincitore. Un vincitore lo si conosce già, a dire il vero. È la vecchia tv generalista, sempre uguale a sé stessa. O meglio, propensa a piccoli e moderati cambiamenti. Un po’ come Sanremo. Perché, come sempre, Sanremo è Sanremo. 

* Docente di Storia dei media nella facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica