L’app Immuni per il tracciamento dei contatti fatica a decollare. La sua adozione che dovrebbe contribuire a ridurre il rischio di contagio va a rilento, forse anche perché il virus ha perso virulenza. Eppure la situazione post pandemia ha dato l’occasione di concretizzare delle questioni tecniche ancora oggetto di un dibattito per addetti ai lavori. Ne è convinta il prorettore Antonella Sciarrone Alibrandi che ha introdotto l’incontro promosso dalla Community Alumni sul tema “App Immuni: tutela della salute e protezione dei dati personali”, moderato da Daniele Bellasio, direttore della Comunicazione dell’Università Cattolica.

Con questa app a portata di tutti si è arrivati a un equilibrio che riguarda tutti; si è guardato a un bilanciamento di interessi, tra la tutela della salute e contemporaneamente la protezione di dati personali e della privacy. Tuttavia lo studio condotto dal professor Gabriele Della Morte, docente di Diritto internazionale nella facoltà di Giurisprudenza, con i suoi studenti ha evidenziato concrete riserve sulla sua efficacia. In particolare, risulta altamente improbabile che venga raggiunta una copertura idonea a un corretto funzionamento e tale circostanza non può non incidere sul bilanciamento complessivo. 

La valutazione complessiva dell’app “Immuni” deve risentire pertanto di un approccio “olistico” fondato, in particolare, sulle cosiddette ‘tre T’: accanto al tracciamento dei contagi (tracing), occorre garantire un numero di tamponi adeguato (testing) oltre al trattamento sanitario dei contagiati (treatment). Secondo il professor Della Morte «bisogna indossare nuove lenti per indagare nuovi fenomeni. Questa app consente di testare e tracciare quelli chei sono stati toccati dal virus e i loro contatti in modo istantaneo. È stato adottato uno standard molto elevato di tutela di dati personali, come lo è quello europeo, forse un unicum rispetto alle altre aeree del mondo per le vicende storiche che si sono manifestate nel corso del Novecento. Inoltre, si è scelto una app che comunica fra dispositivi e che non geolocalizza e questa garantisce una maggior difesa della privacy. È il risultato di un dialogo multilaterale che ha prodotto una grande protezione dei dati personali. È open source. È un bene comune».

La app è volontaria, per proteggere noi stessi e la comunità, ma rappresenta anche una fragilità poiché non funziona se non c’è un follow up. Se non c’è il trattamento delle persone a rischio positive al virus, questa app non servirà. Occorre una visione olistica. L’ombra più perniciosa rimane la questione della diffusione soprattutto se si tiene in considerazione che il nostro Paese ha una popolazione anziana, quindi poco propensa alla rivoluzione digitale. 

A spiegare l’approccio con cui si è arrivati all’adozione di Immuni è intervenuto Francesco Modafferi, dirigente del Dipartimento realtà pubbliche e del dipartimento sanità e ricerca del Garante per la protezione dei dati personali.

«Abbiamo vissuto una situazione che non ha precedenti nella nostra storia. Si è parlato spesso di sospendere, delegare la protezione dei dati. Non è stato così. Parlo di protezione dei dati, non privacy poiché si pone in una prospettiva sbagliata, è qualcosa di più. Guarda alla circolazione, ai flussi di dati, alla garanzia e ai rischi di un’elevata circolazione dei dati. E il rischio è forte in questo periodo poiché si è evidenziato un forte processo di digitalizzazione nel commercio, nella pubblica amministrazione, nel settore privato. Questo ci ha aiutato, ma il prezzo è una continua espansione dei nostri dati con un elevato rischio per la nostra libertà. La protezione dei dati personali è una disciplina flessibile perché i dati sono trattati in modo diverso. Nella pandemia è stato la tutela della salute pubblica, lo stress test più importante che abbiamo affrontato. Emergenza significa estrema pericolosità pubblica che porta a interventi eccezionali».

Secondo Modafferi «l’intensità delle disposizioni messe in campo per affrontare questa situazione ha coinvolto fin dalla prima ordinanza anche il Garante per la protezione dei dati personali. Si sono fatti passi avanti sul campo della smaterializzazione, sbloccando una serie di questioni impantanate da anni. Per esempio l’invio della ricetta del medico direttamente all’assistito o di trasmetterla alla farmacia indicata dal paziente senza fare passaggi intermedi».

Modafferi ci tiene a sottolineare che «c’è stato un forte dialogo multilaterale, serratissimo fra Garante, ministeri interessati e tutti i principali protagonisti della vicenda, nell’ottica di individuare soluzioni efficienti e nel rispetto della protezione dei dati. La gran parte delle indicazioni che il garante ha dato sono state prese in considerazione e sviluppate». 

Invita a gettare uno sguardo al contesto europeo Giuseppe Vaciago, avvocato, alumnus dell’Università Cattolica, professore a contratto di informatica giuridica all’Università dell’Insubria, founder di LT42- The Legal Tech Company. «In Europa si sono registrati esempi non molto felici come in Inghilterra forse perché non c’è stato un dialogo fra le parti. Un esempio positivo invece arriva dalla Germania, grazie anche all’attenzione che le ha riservato la Merkel. Vediamo ora cosa succede per importare best practice anche da noi. Certo non abbiamo dato dimostrazione di forte unità nazionale vista la diversità di approccio alla questione data da regione e regione che ha creato confusione. È molto importante che il sistema Paese si interroghi se affidarsi a una app nazionale o affidarsi a quelle locali».

Il prorettore Sciarrone Alibrandi, infine, chiede se sarà veramente efficace e se siamo sufficientemente responsabili per utilizzare questa app e tutelare in questo modo la salute. Per il professor Della Morte non sarà efficace, ma saranno le prove generali per il futuro. Per Modafferi se sarà efficace lo vedremo, la diffusione non è quella sperata, ma certamente sarà uno strumento in più per governare nuove emergenze e ciò dipenderà dalla diffusione che oggi non è certamente quella sperata.