Chierici, cortigiani, battitori liberi. Quale ruolo per gli intellettuali?” è il titolo del convegno promosso dal centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, che si terrà mercoledì 30 ottobre in cripta aula Magna (largo Gemelli 1, Milano) a partire dalle 9.30.  In questa occasione il professor Giuseppe Lupo ha lanciato un dibattito a cui hanno aderito alcuni docenti della Cattolica. Pubblichiamo l’articolo del professor Andrea Kerbaker

di Andrea Kerbarker *

Caro Lupo, ho letto con il consueto interesse le tue considerazioni sulle idee nell’epoca postideologica che stiamo attraversando, e per una volta non sono troppo d’accordo. Non mi pare infatti che oggi in Italia le idee degli intellettuali latitino in maniera particolare. Anzi, mi sembra che le molte tribune più o meno improvvisate offerte dalla rete permettano oggi anche agli intellettuali di esprimersi su tutto con grande frequenza. Per cui delle opinioni degli intellettuali è pieno il Paese, incluse le prime pagine dei giornali. E se così non fosse, in fondo avrebbe ragione Silvano Petrosino: è una questione che potrebbe interessare gli stessi intellettuali, ma il resto del mondo lo archivierebbe volentieri nella indimenticata rubrica “E chi se ne frega” lanciata dall’intellettualissimo settimanale Cuore.
 
Il problema, piuttosto, è che di queste idee in Italia non importa nulla a nessuno. Gli intellettuali italiani parlano, si riuniscono, dibattono, e non c’è persona che ascolti. Sono, insomma, voces clamantis in deserto, molto più di un tempo. Perché quando noi eravamo ragazzi, ce le ricordiamo bene le reazioni alle parole degli intellettuali: se Sciascia diceva dei “Professionisti dell’antimafia” o Pasolini si inventava il concetto di “Palazzo” tutti sentivano il bisogno di intervenire, partecipare, esserci. Oggi, niente. Un silenzio che di per sé è già un giudizio: di indifferenza.
 
Su questo atteggiamento di solito vengono espresse due spiegazioni. Da un lato si dice che è un fenomeno internazionale, e non riguarda solo noi. Mica tanto. Se all’estero parla un Peter Handke (che, nell’esprimere idee aberranti, rivendica proprio un ruolo intellettuale e artistico: di scrittore, non giornalista, e la differenza conta) un McEwan o un Houellebecq, le idee suscitano subito grande dibattito e senso di partecipazione. Da noi, come detto, no. In questo, credo, la contemporanea diminuzione delle ideologie e dell’audience ha contato moltissimo: perché soprattutto in Italia gli intellettuali spesso si sono spesi al servizio delle diverse ideologie - oggi che le idee vengono formate sulle sensazioni e non sulla profondità l’intellettuale interessa poco, per non dire nulla.  
 
La seconda spiegazione ha a che fare con il clima più generale. C’è in giro un’avversione alle élites che non può non comprendere gli intellettuali: d’altronde, nell’opinione pubblica che ragiona in termini di “Uno vale uno” non si capisce bene che valore possano avere gli studi, o la cultura in generale (almeno non c’è nessuno che quando sente la parola carica la pistola – ma temo che sia perché in fondo non ne vale la pena, per qualcosa che così pochi ascoltano). E questo è un problema più serio, che non riguarda solo chi studia, ma la classe dirigente in generale. Con almeno due certezze: che solo un Paese che riscopra il significato di una leadership vera e carismatica può ritrovare lo slancio perduto da tempo; e che in questo scenario gli intellettuali hanno un ruolo centrale, non fosse altro perché tutte le statistiche ci dicono che alla crescita del livello culturale corrisponde un’equivalente crescita economica.
 
Certo, tutti gli indicatori inducono al pessimismo, a cultiver son jardin, come paiono suggerire alcuni degli interventi successivi alla tua provocazione iniziale. E tuttavia credo che proprio l’essere intellettuali ci permetta anche di essere ottimisti. Come persone abituate ad avere a che fare con il passato, infatti, sappiamo meglio di chiunque altro che anche le fasi più buie sono destinate a essere superate, sempre. E quindi armiamoci di santa pazienza, lavoriamo seriamente nell’attesa di nuove generazioni pronte a riascoltare le riflessioni che arrivano dalle nostre voci. Speriamo solo, per allora, di essere ancora vivi…

* docente di Istituzione e politiche culturali, interfacoltà Economia-Lettere e filosofia, campus di Milano


Quinto contributo di una serie di articoli dedicati al ruolo degli intellettuali