Nasce nel cuore della pianura bergamasca il Gran Padano Dop di filiera corta firmato dalla Azienda agricola Cascina San Giorgio, inserito dal Gambero Rosso tra i primi dieci migliori Grana Padano al mondo. 

Tra i soci dell'azienda di famiglia anche Gabriella Conti, laureata 110 e lode alla facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, dopo un percorso formativo che l'aveva portata su una strada differente, tra i libri di legge e i tribunali.

Un cambio di direzione guidato dalla passione. «Non si potrebbe altrimenti sostenere uno studio così impegnativo senza questo amore per la terra. Quello che più mi emoziona è vedere come una pianta cresca e produca frutto e il successivo processo di trasformazione per giungere al prodotto finito» racconta Gabriella. «Ma è stata una scoperta nata solo dopo essermi trasferita a vivere in campagna, dove ho cominciato a prendermi cura di un orto e di una piccola vigna famigliare. Passione alimentata anche dall’azienda di famiglia e dal fascino della produzione di un formaggio che ha saputo convincere nel tempo per la sua bontà. Nella convinzione radicata che un’alimentazione sana e buona sia un aspetto fondamentale della vita».

Un gusto che hai assaporato in famiglia... «Credo di avere ereditato questa passione da mio padre che si era meritato il soprannome di Giorgio “della paglia” (appellativo che ovviamente veniva espresso in bergamasco) e da mio nonno Giuseppe, commerciante di cereali che in tempo di guerra utilizzava un carretto trainato da cavalli affrontando tutti i pericoli. Da loro ho ereditato anche la curiosità che mi ha spinto a comprendere eventuali sviluppi percorribili di un’agricoltura all’avanguardia, e che richiedono una preparazione più specifica. Da qui l’idea di ricominciare a studiare. Infine, oltre alla motivazione e alla passione, è stata necessaria molta determinazione per perseverare in un percorso di studi affascinante ma molto complesso». 

C’è un valore aggiunto che vuoi rimarcare pensando agli anni trascorsi sui banchi dell’Università Cattolica? «Questi anni di studio mi hanno profondamente cambiata, avvicinandomi alla comprensione di aspetti che in passato avevo valutato solo superficialmente. L’università mi ha permesso innanzitutto di imparare un nuovo linguaggio che mi consentirà di comprendere meglio in futuro come operare in realtà agricole o agro-alimentari. Oltre alla preparazione tecnica, la formazione universitaria è stata caratterizzata da tematiche quali la sostenibilità e le  problematiche legate al cambiamento climatico. Il contatto costante con persone competenti o con colleghi interessati a problematiche simili con cui confrontarsi ha fatto il resto. Il giudizio sulla mia esperienza è senz’altro positivo sia dal punto di vista professionale che umano».

Il Covid 19 non ha fermato il settore agroalimentare. Che impatto ha avuto l'avvento della pandemia sulla sua attività professionale? «Sebbene il settore alimentare abbia sofferto meno di altri dell’emergenza Covid, la situazione deve portare a riflessioni ancora da approfondire per essere preparati in caso di emergenze future e per cogliere nuove prospettive. La pandemia impone un cambiamento di mentalità che allarghi lo sguardo ad un modello più sociale e integrale. Siamo chiamati a essere creativi, forgiando percorsi nuovi e originali anche per il bene comune».

Tra innovazione, tradizione e sostenibilità: quali sono le sfide che vedi nel futuro prossimo? «Tra queste, che sono le linee guida del prossimo futuro, la sostenibilità e l’innovazione in particolare impongono un cambio di visione. La mia tesi di viticoltura di precisione, con un approfondimento sulla interessante tecnica di concimazione a rateo variabile con impiego di fertilizzanti a cessione controllata, mi ha aiutato a a comprendere sul campo entrambi gli aspetti, con le loro connessioni, e a valutare quanto siano determinanti per un’agricoltura moderna. In tal senso, la formazione diventa fondamentale per gli operatori di settore».

Tutela del made in Italy e spinta all' internazionalizzazione: quali prospettive si aprono per i nostri fiori all'occhiello dell'agrifood? «La riconoscibilità del brand Italian Food e la crescita sui mercati esteri delle eccellenze italiane richiede la tutela dell’origine degli alimenti e lo sviluppo di piattaforme di vendita online più attente all’origine e alla qualità dei prodotti, assicurando la trasparenza e la tracciabilità della filiera. Pertanto potrebbe essere utile adottare soluzioni innovative, oggi possibili, che permettono di realizzare una carta d’identità dei prodotti agricoli. La questione è tuttavia più ampia e soprattutto di natura politica: Paesi che introducono dazi e limitazioni all’importazione, o limitazioni derivate dalla stessa pandemia possono influire notevolmente sull’export».

Che consiglio darebbe a chi sta per scegliere l'università? «Il mio consiglio è scegliere seguendo le proprie passioni e abilità personali, senza limitarsi a valutare solo gli eventuali sbocchi lavorativi futuri. Inoltre, ritengo indispensabile il conseguimento della laurea magistrale per una migliore crescita professionale e personale. In ogni caso occorre puntare sempre al massimo e non accontentarsi, sapendo cogliere tutte le occasioni che l’università offre: approfondimenti, stage, percorsi all’estero, progetti di volontariato e mentor, simulazioni di startup e, infine, master e dottorati.  Attraverso la conoscenza si diventa grandi. Non occorre essere i migliori, ma si deve essere perseveranti senza arrendersi mai».