Il sistema bancario europeo è “dimagrito” di circa un quarto: le filiali si sono ridotte del 27% (65.000 unità in meno). Il nostro Paese non ha fatto eccezione: in un decennio il numero di sportelli bancari è diminuito di circa il 20%. Sono i dati che emergono dal nuovo numero dell’Osservatorio monetario (3/2019), presentato martedì 12 novembre in largo Gemelli e curato dal Laboratorio di analisi monetaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e diretto da Angelo Baglioni, docente di Economia monetaria nella facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. Al centro del rapporto i cambiamenti che stanno investendo il mondo del lavoro nel settore bancario.
 
La “cura dimagrante” a cui è andato incontro il settore non poteva non avere effetto sull’occupazione. Guardando all’ambito finanziario nel suo complesso (che comprende banche, assicurazioni e attività ausiliarie) il numero di addetti si è ridotto del 5,2% in Europa e del 6,7% in Italia. Se all’inizio del decennio la causa principale di questo ridimensionamento poteva essere individuata nella crisi finanziaria esplosa nel 2007-2008, che ha imposto una drastica ristrutturazione del settore alla ricerca di un taglio dei costi, negli anni più recenti il fenomeno va ricondotto prevalentemente ai mutamenti tecnologici in atto, che rendono obsoleta la rete di filiali tradizionali. L’accesso ai servizi finanziari avviene sempre di più tramite i canali digitali, rendendo così sempre meno necessario disporre di una capillare rete di sportelli al dettaglio.
 
Non è solo la dimensione complessiva dell’occupazione nel settore finanziario a evolvere rapidamente, ma è anche la sua composizione. A fronte del declino delle figure professionali più tradizionali (operatori di sportello e amministrativi) vi è la crescita delle figure legate alle politiche commerciali (promotori, agenti, consulenti) e ai servizi IT. 

«Il mondo del lavoro nel settore bancario sta cambiando rapidamente ci saranno sempre meno bancari tradizionali come gli operatori alla cassa o allo sportello, ci saranno sempre più consulenti, promotori finanziari, persone specializzate nelle nuove tecnologie. I contratti diventeranno sempre più flessibili con meno lavoratori dipendenti e più autonomi e liberi professionisti», ha spiegato Angelo Baglioni, direttore Osservatorio monetario. 

Basti pensare che tra il 2009 e il 2019, la percentuale dei liberi professionisti sul totale degli occupati nel settore finanziario è cresciuta dal 2,1% al 14,6%. Allo tesso tempo è calata la quota dei lavoratori dipendenti: dal 94,1% al 78,6%. Questa evoluzione è strettamente legata allo sviluppo delle attività ausiliarie, nelle quali prevale il lavoro indipendente (65% dei lavoratori) mentre nel settore bancario in senso stretto prevale ancora il rapporto di lavoro dipendente (96% dei lavoratori). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la trasformazione delle tipologie contrattuali non riguarda solo i giovani, ma anche i lavoratori “senior” (con più di 55 anni di età). In questa fascia di età, l’incidenza dei contratti full-time a tempo indeterminato è calata del 35% negli ultimi dieci anni, lasciando ampio spazio alla figura del lavoratore autonomo.
 
I bancari in Italia continuano a guadagnare mediamente più che in altri settori ma il vantaggio si sta riducendo. «Nel confronto internazionale, l’Italia presenta uno svantaggio competitivo, con un costo del lavoro superiore a Francia, Spagna e UK, mentre è inferiore alla Germania», ha osservato il professor Baglioni. «Vero è che il cuneo fiscale incide in Italia più che negli altri paesi. Nel nostro paese, i bancari hanno sempre goduto di retribuzioni mediamente superiori agli altri settori produttivi, a parità di qualifica. Tuttavia questo divario retributivo si è ridotto nell’ultimo quindicennio: “lavorare in banca” conviene ancora, ma meno che in passato. La progressione di carriera consente una dinamica sostenuta delle retribuzioni medio-alte, soprattutto tra i trenta e quaranta anni di età, mentre per i livelli inferiori la dinamica è assai più piatta».
    
Questo numero dell’Osservatorio monetario dedica un approfondimento specifico alla discriminazione di genere. Quasi la metà (45%) del personale impiegato nel settore è femminile. Tuttavia, la presenza delle donne nei ruoli dirigenziali è ancora scarsa, nonostante i progressi fatti negli anni più recenti (anche per effetto dei vincoli regolamentari). Nei CdA delle banche quotate le donne occupano il 33% delle posizioni (13% nelle banche non quotate) ma nessuna è direttore generale (3 lo sono nelle non quotate). Sembra quindi persistere il fenomeno del “soffitto di cristallo”: le donne hanno minori opportunità di carriera degli uomini e raramente accedono ai ruoli esecutivi di vertice. Ciò si riflette nel pay gender gap: le donne guadagnano mediamente meno degli uomini, anche a parità di livello di istruzione e di età.