Il 1° giugno è la Giornata mondiale del latte, un alimento che ha accompagnato lo sviluppo del genere umano sin dai primordi, capace di fornire un mix di nutrienti unico. Istituito nel 2001 dalla Fao - l’organizzazione dell’Onu che si occupa di agricoltura e alimentazione -, il World Milk Day celebra la bevanda più diffusa sul pianeta, dopo l’acqua. Il messaggio-chiave della Fao è che non esiste altro alimento capace di fornire tanti nutrienti a un costo così abbordabile e in modo così sostenibile, a essere così radicato nelle culture alimentari di tutto il mondo e ad avere così tante potenzialità nel migliorare l’alimentazione di miliardi di persone in ogni continente, anche perché la produzione mondiale continua a toccare nuovi record, con un aumento del 63% negli ultimi 20 anni. Le ragioni? Ce le spiega il professor Lorenzo Morelli, microbiologo della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, campus di Piacenza e Cremona.

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Professor Morelli, il latte è un alimento globale nel mondo ma anche molto discusso. Possiamo dire che, insieme ai suoi derivati, migliori le condizioni di vita e la salute degli abitanti di tutto il pianeta, dai paesi emergenti a quelli ricchi? «La risposta è sì, sulla base di dati scientifici ed è riassumibile in due diverse considerazioni: nei paesi con scarsità di alimenti - ricordiamoci che la sotto-nutrizione è un problema mondiale - fornisce un contributo fondamentale alla “fame” di proteine. Nei paesi in cui il problema è opposto (sovrappeso e obesità) è una bevanda con meno calorie delle cosiddette soft drinks (le bevande zuccherate) e equilibrato nella sua composizione nutrizionale».
 
L’emergenza Covid ha cambiato in parte le abitudini dei consumatori: questa tendenza ha toccato anche il latte e, nel caso, come si ripercuoterà questo fenomeno sulla produzione? «Il consumatore ha aumentato significativamente l’acquisto di prodotti a lunga conservazione; il latte UHT ha surclassato le vendite del latte fresco. Quindi a fronte di una emergenza il consumatore ha ritenuto il latte un alimento necessario per la sua scorta alimentare. Conciliare la necessità di lunghi periodi di conservazione mantenendo alti profili di qualità sarà la sfida dei prossimi mesi».
 
L’aspetto straordinario del latte è che, pur essendo un prodotto ‘antico’, identico da quando è comparso in natura, continua a essere adatto alle esigenze del terzo millennio, grazie anche alle innovazioni introdotte dalle aziende del settore. La facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dedica da sempre parte della sua attività di ricerca al latte e ai suoi derivati: ci vuole citare i risultati più recenti emersi dai vostri studi? «Una delle critiche che si rivolgono alla filiera lattiero-casearia è quella del suo impatto ambientale. La riduzione di questo impatto sta impegnando tutta la facoltà, grazie anche a generosi finanziamenti ricevuti da vari enti e fondazioni, prima fra tutti la Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, che ci hanno consentito di studiare il miglioramento di tutti gli anelli della filiera, dalla produzione del foraggio alla gestione della stalla fino al recupero degli scarti per la produzione di biogas».