Nonostante la limitatezza delle risorse del pianeta stia diventando un problema sempre più evidente, circa il 15% di quanto trasformato nell’agroindustria viene restituito in forma di scarti con problemi onerosi di gestione e smaltimento per le aziende.

In tale contesto si è inserito il progetto BIOWAFER coordinato dalla facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali e finanziato dalla Regione Emilia Romagna, che vede tra i partner l’Università di Parma, la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA), l’azienda Terre Cevico, l’azienda Steriltom, la Latteria Sociale Stallone, l’azienda cosmetica Davines, e la farmaceutica Savoma medicinali. 

Obiettivo del progetto è la valorizzazione dei sottoprodotti e dei coprodotti di agricoltura e allevamento attraverso la messa a punto di protocolli ottimizzati di estrazione delle biomolecole che consentano di ottenere dagli scarti tal quali molecole d’interesse cosmetico e farmacologico (nutraceutico/dermatologico). In BIOWAFER sono coinvolte aziende sia appartenenti alla filiera agro-alimentare sia all’industria cosmetica e farmaceutica.

Il settore agroalimentare costituisce un punto nevralgico e caratterizzante dell’economia della Regione Emilia-Romagna che data l’intensità della produzione agricola e agro-alimentare ha la disponibilità lorda specifica di scarti (massa di sostanza secca per km2) tra le più alte in Italia.

Partendo dalle biomasse che si è scelto di recuperare e caratterizzare (buccette di pomodoro, vinacce, fecce, siero, morgia, latticello) nei laboratori del DIPROVES di Piacenza i lavori si sono concentrati sulla biotrasformazione degli scarti tramite l’impiego di larve del Dittero di Hermetia Illucens, una mosca che si presta all’allevamento, che non rappresenta un fastidio per l’uomo e che è in grado di convertire i substrati su cui cresce in biomassa larvale costituita principalmente da lipidi, proteine e molecole potenzialmente bioattive. L’estrazione chimica delle larve, svolta nei laboratori del DiSTAS con tecniche prevalentemente eco-compatibili, permette di ottenere principalmente antiossidanti e antimicrobici da fornire alle aziende partner. A questi si aggiungono altre molecole di interesse cosmetico che si ottengono dalla fermentazione degli scarti. Tra queste l’acido ialuronico, uno dei componenti fondamentali dei tessuti connettivi dell'uomo e prezioso ingrediente di tutti i preparati antirughe.

I residui di tutte le suddette fasi vengono successivamente lavorati per produrre energia (pirogassificazione) e ottenere materiale ammendante dei suoli, riducendo l’impatto ambientale e l’inquinamento e permettendo così di chiudere la filiera in modo circolare. 

«La metodologia seguita nei nostri laboratori – spiega la responsabile delle attività di estrazione chimicha, dottoressa Lucrezia Lamastra – è una validissima alternativa all’estrazione dei composti da substrati di origine animale, con vantaggi economici e etici rilevanti. Ad oggi, i sottoprodotti della lavorazione dei prodotti vegetali nelle filiere agro-alimentari, parte rilevante del panorama regionale emiliano, sono indirizzati prevalentemente verso biodigestori per la produzione di energia, impianti di compostaggio oppure smaltiti come rifiuti indifferenziati, gravando quindi sui costi di produzione e sull’ambiente». 

«Negli ultimi anni - prosegue il Prof. Marco Trevisan, coordinatore del progetto e Preside della Facoltà -  si sta lavorando tanto per garantire efficacia, sicurezza, qualità e sostenibilità del prodotto finito.  In quest’ottica lo sviluppo di uno schema consolidato di bioraffineria degli scarti potrà garantire la produzione continuativa durante l’anno di composti chimici green contribuendo al riciclo e alla riduzione degli sprechi di materia prima».