La nuova sfida per il futuro delle aziende è una maggior investimento sul capitale umano. Non nei termini dei welfare assistenzialistici fino a ora conosciuti ma di un welfare che porti a un maggior benessere dovuto all’ambiente fisico, all’interazione con i colleghi, con la struttura organizzativa: fattori, questi, che aumentano la qualità del lavoro e dei risultati.

Investendo nelle risorse umane il welfare può agire non solo come aggregatore di bisogni ma anche di potenzialità dei professionisti dell’azienda. È quanto ha fatto emergere la ricerca realizzata dalle psicologhe Caterina Gozzoli e Diletta Gazzaroli dell’Alta scuola di psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica (Asag) per conto dell’Associazione industriale bresciana (Aib).  

Le ricercatrici hanno compiuto un’analisi in profondità di dieci casi aziendali, in campi economici differenti, ma con la caratteristica comune di aver provato a fare cose buone nel coinvolgere le persone a gestire una fase di grande cambiamento, soprattutto in campo culturale. Perché cultura ed economia non sono antitetiche e possono convivere nelle aziende, come sostiene Roberto Zini, vice presidente di Aib, che ha voluto questa ricerca. 
 
Secondo Caterina Gozzoli e Diletta Gazzaroli, «il welfare può, quindi, essere inteso non più come prodotto ma come processo attraverso cui prendere consapevolezza delle dinamiche che caratterizzano il tessuto organizzativo e come le azioni messe in campo si connettano con questo tessuto in cui vanno a collocarsi».

In particolare, «le aziende analizzate hanno in corso, in modo più o meno consapevole, delle forme di cura delle proprie risorse umane non sempre riconosciute e valorizzate sotto l’etichetta “welfare”, ma che giocano un ruolo importante, poiché orientate a promuovere vicinanza tra azienda e lavoratori, ad alimentare il commitment organizzativo e, di conseguenza, la capacità produttiva e competitiva dell’azienda stessa» ha sottolineato Diletta Gazzaroli. 

Altra dimensione importante, per quanto riguarda la gestione, riguarda il tempo, in termini di ottimizzazione e di possibilità di autonomia, e la conciliazione tra vita privata e vita lavorativa ovvero tutte quelle prestazioni che rientrano nella categoria “work-life balance” che consentono alla persona di non percepirsi nella posizione di «dover scendere a compromessi».