Invecchiare bene si può. Stando attenti a condurre stili di vita appropriati e perseguendo il benessere fisico e mentale. Se ne parla all’XI Convegno nazionale di Psicologia dell’invecchiamento promosso dall’omonima Società italiana (Sipi) che si apre venerdì 25 maggio e continua sabato 26 in largo Gemelli. La due giorni è preceduta dalla tavola rotonda "Tra benessere e salute: sfide e opportunità per l'anziano" giovedì 24 nell’aula Pio XI di largo Gemelli, dedicata al dialogo tra la comunità scientifica e le realtà sociali attive per il sostegno della fascia di popolazione anziana e per la promozione di un invecchiamento attivo.

Abbiamo chiesto al professor Alessandro Antonietti, psicologo dell’Ateneo, che ha promosso l’evento insieme alla Sipi, quali argomenti affronterà questo appuntamento.

«Accanto ai temi tradizionali della psicologia dell’invecchiamento, quest’anno una particolare attenzione sarà dedicata al tema della creatività dell’anziano» afferma. «Si tratta di un tema di cui si era occupato negli ultimi anni il professor Marcello Cesa-Bianchi, uno dei primi psicologi a occuparsi in Italia di invecchiamento, recentemente scomparso, al quale la nostra università conferì, quale allievo di Padre Gemelli, la laurea honoris causa. Alimentare la creatività non sembrerebbe essere una delle maggiori preoccupazioni nell’età anziana. Invece essa può costituire una potente risorsa per favorire il benessere in questa fase della vita, oltre a essere importante per contrastare la rigidità di pensiero che talvolta limita le opportunità di autorealizzazione nella terza età».
 
Di fronte a un significativo aumento della popolazione anziana quali sono i problemi che insorgono più frequentemente e che vanno fronteggiati? «Una sfida è sicuramente trovare delle forme sostenibili - economicamente, socialmente e culturalmente - per accompagnare gli anziani nel fronteggiare i problemi che sopraggiungono con l’invecchiamento senza adottare subito un approccio “assistenziale” o “medicalizzante”. Forse alla base di molte fragilità, limitazioni e “lamentele” (perdita di autonomia, perdita di memoria, solitudine ecc.) che si associano all'invecchiamento c’è una concezione di quest’ultimo che porta a vedere soltanto gli aspetti negativi delle trasformazioni che l’avanzare dell’età comporta e a non riconoscere che certe evoluzioni possono avere anche un diverso significato, coerente con la piega che la parabola esistenziale naturalmente prende in questa fase della vita».

Qual è il giusto atteggiamento verso questa fase della vita? «Slogan come “giovani per sempre” - e anche il mantra dell’invecchiamento attivo e in salute (active and healthy aging) - possono essere fuorvianti se inducono a ritenere che lo standard da raggiungere o mantenere sia quello di una perfetta efficienza fisica e mentale, rispetto al quale inevitabilmente la maggior parte della popolazione anziana progressivamente si allontana. Forse quindi il problema più rilevante è elaborare e condividere una visione realistica e saggia di che cosa l’invecchiamento significa».

Quali passi avanti ha fatto la ricerca nella diagnosi e nella cura delle difficoltà legate alla memoria e all’apprendimento degli anziani? «In generale oggi gli strumenti diagnostici sono diventati più sofisticati e attendibili, anche perché sono ora disponibili versioni specificamente adattate alla situazione italiana. È anche possibile registrare precocemente dei marker di patologie che in fase avanzata possono determinare decadimento cognitivo. Dall’altro lato disponiamo di differenti approcci, validati scientificamente, per contrastare il decadimento cognitivo e per mantenere, se non addirittura migliorare (in certi ambiti), l’efficienza intellettiva. Ciò che è interessante è che questi approcci hanno caratteristiche molto diversificate così da permettere agli operatori - o agli anziani stessi - di scegliere quelle che si adattano meglio alla situazione in cui si vive».
 
Per aumentare il benessere delle persone anziane oggi sono disponibili diversi tipi di tecniche come il training per la flessibilità cognitiva, il neuro potenziamento cognitivo, le tecniche di mindfulness, stili di vita attenti all’alimentazione. Che ricaduta hanno sui “pazienti” anziani? «Da un lato ci sono interventi che agiscono direttamente su specifiche funzioni cognitive ed altri che operano su fattori più generali. Per esempio la stimolazione tramite la diffusione nel cervello di correnti elettriche a bassissima intensità agisce in maniera molto focalizzata. Il limite è che questo tipo di trattamento può essere applicato solo in situazioni particolari. Inoltre, training centrati su aspetti del funzionamento cognitivo come la flessibilità di pensiero possono essere proposti non solo in strutture mediche ma anche in università della terza età o addirittura nel contesto domestico. Le tecniche di meditazione sono ugualmente applicabili in contesti familiari, anche se richiedono un certo allenamento. La via più semplice ed “economica” è quella di agire sui comportamenti quotidiani, come l’alimentazione. A questo riguardo la ricerca psicologica può fornire indicazioni su come aiutare gli anziani a comprendere quali sono le migliori scelte da fare e come mantenere i buoni propositi».