Crisi d’impresa: un tema caldo sempre, bollente in questo tempo di emergenza Covid 19. Tra gli strumenti utili al suo contrasto, spicca la transazione fiscale, grazie alla quale le imprese in crisi, che si trovino nelle condizioni per accedere a un accordo di ristrutturazione o a un concordato, hanno la possibilità di raggiungere accordi anche con il Fisco, per dilazionare o abbattere i debiti tributari.

Ma l’applicazione di questo istituto ha da sempre incontrato difficoltà di applicazione, gran parte delle quali sarebbero state eliminate con il nuovo Codice della Crisi d’impresa; sennonché, come rilevato dal professor Marco Allena in un suo contributo pubblicato su Il Sole 24 Ore, uno dei decreti cd. Covid ha rinviato al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del Codice, e con esso anche le novità che avrebbero dato nuovo impulso alla transazione fiscale.

Professore, ci spieghi in che cosa consiste e quando può essere applicata la transazione fiscale. «Si tratta di un’opportunità davvero importante, innanzitutto per l'imprenditore in difficoltà, che ha la possibilità di chiudere le pendenze con il Fisco e con gli enti previdenziali, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione del debito o di un concordato (e ricordiamo che nella stragrande maggioranza dei casi per le imprese in crisi il debito fiscale è di gran lunga il maggiore). Ma si tratta anche di un gran vantaggio per lo Stato, che ha la possibilità di recuperare denaro che potrà impiegare a vantaggio di tutti i cittadini, rispetto a probabili fallimenti che invece renderebbero nulla tale speranza». 

Un bel vantaggio... «Il salvataggio di un’impresa in crisi consente allo Stato di “guadagnare” nuovamente un contribuente per il futuro, senza poi tenere conto delle ripercussioni territoriali che ciò comporta, su tutte il risvolto occupazionale. Con la transazione fiscale, dunque, si raggiunge l’obiettivo di salvare un'impresa che sarebbe stata destinata a chiudere definitivamente, salvaguardando quindi, oltre al gettito fiscale e all'attività economica in sé e per sé, anche parecchi posti di lavoro».

Quali sono dunque i motivi che rallentano la sua applicazione? «Innanzitutto, si tratta di istituto che (ancorché introdotto in forme e con denominazioni diverse da oramai una quindicina di anni) è culturalmente nuovo al nostro ordinamento, e quindi è occorso del tempo per abituarvicisi. In secondo luogo, i tempi per la definizione dell’accordo si sono rivelati lunghissimi, anche di un anno mediamente, e questo – unito ad altre difficoltà burocratico formali – ne ha notevolmente ostacolato la concreta applicazione».

Quale azione suggerisce per intervenire in maniera tempestiva ed efficace? «Il Codice della Crisi, al di là di altri minimi ritocchi a proposito della transazione fiscale, in particolare interviene proprio sui tempi del procedimento, prevedendo un termine di sessanta giorni per l’Agenzia delle Entrate per valutare la proposta del contribuente nel caso di accordo di ristrutturazione dei debiti. Ma l’aspetto più importante è la conseguenza che scaturisce dal mancato rispetto di tale termine: in tale ipotesi è il Tribunale stesso che può decidere sulla riduzione del debito fiscale, sostituendosi per così dire all’Agenzia delle Entrate (che invece è il titolare del credito fiscale e il vero e proprio regista della transazione fiscale).

Con quali effetti? L’effetto è duplice: da una parte si prevede un termine stringente, dall’altra si “costringe” l’Amministrazione finanziaria a rispettarlo, pena la “perdita di sovranità” a favore dei giudici. Ora, il Codice della crisi d’impresa sarebbe dovuto entrare in vigore il 15 agosto di quest’anno; il decreto Liquidità ha posticipato tale termine al 1° settembre 2021, per motivi riguardanti tutt’altre tematiche in esso contenute. Ma l’effetto del rinvio, al momento, è che la transazione fiscale resta priva di quelle novità che le avrebbero dato nuovo slancio, e che sarebbero state di grande ausilio alle imprese in periodo che prevedibilmente conoscerà molte (e gravi) crisi. Occorre dunque immaginare una novella legislativa che – in uno dei prossimi decreti – consenta la immediata entrata in vigore delle nuove norme sulla transazione fiscale».
 
Guardando, come docente universitario, alle competenze utili a un futuro professionista o manager per la gestione efficace delle crisi di impresa, su che cosa ritiene si debba puntare? «Innanzitutto occorre una solida preparazione di base, giuridico ed economica al contempo. In secondo luogo, sono necessarie quelle conoscenze specifiche degli istituti e delle procedure propri della crisi d’impresa, alla luce delle varie riforme succedutesi negli ultimi anni. Nella nostra facoltà di Economia e Giurisprudenza a Piacenza abbiamo attivato da un paio d’anni, nel profilo di Libera professione nella laurea magistrale in Gestione d’Azienda, anche un Corso di gestione della crisi d’impresa, suddiviso in due moduli, uno giuridico ed uno economico, proprio per fornire agli studenti il panorama completo della materia. 
E i ragazzi mostrano di apprezzare, anche per via delle sollecitazioni che percepiscono nel mondo economico. Lo scorso anno, tra l’altro, i due docenti titolari, Claudio Frigeni e Marco Ciccozzi, hanno organizzato un convegno su questi temi a conclusione del primo modulo, con la partecipazione degli ordini professionali e del giudice delegato del Tribunale di Piacenza, dottor Tiberti, e il successo anche all’esterno dell’iniziativa ha confermato la validità dell’intuizione».

Ma non è tutto… «Quest’anno, poi, analogo insegnamento è istituito anche, sempre nella nostra facoltà di Economia e Giurisprudenza, nella laurea Magistrale in Giurisprudenza, proprio per l’importanza e la grande attualità delle tematiche toccate: in questo caso, ferma restando la validità e l’opportunità dei due moduli, i docenti sono Claudio Frigeni e Antonino Barletta, sempre per fornire una visione completa ai ragazzi (e qui i versanti sono quello del diritto commerciale e quello del diritto processuale civile)».