Un’efficace prevenzione nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro non può prescindere dal considerare il lavoratore stesso come parte attiva del sistema di controllo del rischio. Un concetto che sembra essere stato spesso trascurato nella prassi aziendalistica e giudiziaria. Parola di Gaetana Morgante, penalista della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, intervenuta al convegno inaugurale del master in Diritto Penale dell’Impresa (Mdpi) dell’Università Cattolica.

Si pensi, su tutti, al dato giurisprudenziale che ritiene interrotto il nesso causale tra l’illecito datoriale e l’evento in quei soli casi in cui il comportamento del lavoratore sia ritenuto abnorme, imprevedibile o eccentrico. Si tratta di formule volte a configurare un contributo per il vero quasi mai ritenuto integrato nel caso concreto, con la conseguenza che i doveri di sicurezza del datore, seppur rimodulati dal dato normativo del Testo Unico, vengono di fatto ri-assolutizzati, a fronte di un lavoratore considerato sempre più un passivo “creditore” e non già un protagonista del sistema di sicurezza. 

Davide Petrini, docente di Diritto Penale all’Università degli Studi di Torino, ha incentrato il suo intervento sulla figura della vittima, la quale, in questo più che in altri ambiti, corre il rischio di rimanere priva di un effettivo ristoro se la sua tutela viene affidata integralmente al versante penalistico, tanto da porre in dubbio la stessa opportunità del ricorso a tale strumento sanzionatorio estremo. Le difficoltà risiedono nel dover conciliare l’esigenza di tutela delle vittime, in un’ipotesi di corporate violence, con gli ineludibili principi di garanzia della materia penale e processuale. L’auspicio è allora quello di riuscire a bilanciare le contrapposte esigenze, al fine di salvaguardare un livello minimo di tutela alla vittima senza, al contempo, rinunciare a una risposta sanzionatoria di tipo penalistico nel contesto della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Sul tema delle patologie a manifestazione “tardiva” si è incentrato invece il contributo dell’avvocato Guglielmo Giordanengo.

La questione ruota attorno al significativo arco temporale di latenza media di talune malattie tumorali derivanti da esposizione a materiali tossici - si pensi al mesotelioma pleurico - che può spingersi fino a 30-40 anni, con la conseguenza di vedere instaurati oggi procedimenti penali relativi a fatti accaduti negli anni 70-80. I riflessi si colgono in più direzioni: dalle difficoltà, agevolmente comprensibili, di ricostruzione del fatto storico, alla perdita del senso rieducativo della sanzione penale, fino alla rilevante complessità dell’accertamento causale, nella misura in cui si tratta di dover spesso considerare una pluralità di esposizioni a materie tossiche susseguitesi nel tempo insieme all’incidenza di ulteriori fattori concausali. 

La questione si salda poi con il tema delle successioni nelle posizioni di garanzia: a fronte di un’intera vita lavorativa che la vittima ha trascorso in un’azienda, che ha visto il succedersi di diversi datori di lavoro, è pressoché impossibile, a livello scientifico, poter individuare in quale intervallo temporale si sia verificata l’esposizione decisiva che ha cagionato la lesione, e conseguentemente risalire al garante responsabile. Da ultimo, il relatore si è soffermato sulla nota vicenda dello stabilimento ThyssenKrupp, potendone fornire un punto di vista “interno”, in ordine alle tematiche del dolo eventuale, della posizione di garanzia del datore di lavoro e del coinvolgimento dell’RSPP, ed alle relative soluzioni offerte dalla pronuncia.

Salvatore Dovere, Consigliere presso la Sezione IV Penale della Suprema Corte di Cassazione, si è soffermato principalmente su due grandi problemi lasciati aperti dal D.lgs. 81/2008: quello della delimitazione delle posizioni di garanzia, con speciale riguardo alla posizione dell’RSPP, e quello della identificazione delle condizioni di rilevanza della condotta del lavoratore, destinatario della tutela. Al riguardo, il suggerimento in ottica de iure condendo è quello di riportare la regola cautelare ed il relativo dovere di diligenza al centro del ragionamento, attraverso una migliore tipizzazione delle prime, che scontano ancora una diffusa genericità e indeterminatezza all’interno del dato normativo del Testo Unico, e una più accurata specificazione in concreto del secondo. Una delle strade per giungere a una tale integrazione, suggerisce al riguardo il professor Forti, potrebbe allora essere quella di ricorrere all’ausilio di fonti secondarie e provvedimentali, come le linee guida e gli altri atti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti.

A chiudere la tavola rotonda è intervenuto in tema di 231 Francesco D’Alessandro, docente di Diritto Penale Commerciale alla Facoltà di Economia del nostro Ateneo. 

Di ampio respiro la principale questione posta dal relatore: il sistema 231 è ancora oggi idoneo nell’adempiere alla sua funzione preventiva e sanzionatoria? L’interrogativo nasce dal dato statistico che vede una netta diminuzione, registratasi nell’anno 2017, delle iscrizioni di procedimenti a carico degli enti da parte della Procura di Milano. La sensazione è che, alla luce dell’assetto imprenditoriale che tradizionalmente caratterizza il nostro paese e che vede un grande numero di società piccole o medio-piccole a fronte di poche realtà di grandi o grandissime imprese, il sistema 231 possa condurre a una duplicazione sanzionatoria tra persona fisica e giuridica tutta a discapito della seconda. A ciò si aggiungono poi le difficoltà che spesso sorgono nell’imputare a una determinata persona fisica interna all’ente alcune ipotesi di reato presupposto, con conseguente inapplicabilità anche della responsabilità della persona giuridica. Al rischio di un tale vuoto di tutela, potrebbe rispondersi, suggerisce il relatore, con l’introduzione di un nuovo modello di tipizzazione di illeciti che si rivolgano in via immediata e diretta all’ente, qualificandolo come soggetto attivo del fatto criminoso.

Al termine del convegno i professori del master hanno poi proceduto, come di consueto, alla consegna dei diplomi agli allievi dell’edizione precedente, non mancando di segnalare come il numero crescente di studenti e professionisti che decidono di intraprendere questo corso altamente specialistico è anch’esso indice della crescente attenzione che gravita intorno ai temi del diritto penale d’impresa, nonché, in particolare, del successo riscosso dall’approccio pratico-teorico ed interdisciplinare che da anni il master porta avanti in una materia sempre più complessa e attuale.