L’alba della vita nel profondo sud. La Puglia e Taranto: una regione e una città che scoprono l’avvento del siderurgico. Quando nasce, Alfredo Altavilla, il top manager Fiat responsabile delle alleanze industriali della casa torinese e braccio destro di Marchionne, ha una passione nel Dna. «Mio padre era titolare di una concessionaria Lancia e all’automobile italiana eravamo indissolubilmente legati». Quando la città dei due mari si lega all’Italsider, Altavilla va per la sua strada. Gli studi in ragioneria sono l’inizio di un percorso che lo porterà lontano. A Milano si trasferisce per frequentare l’università. Sceglie Economia e commercio in Cattolica, si laurea nel 1987 con la tesi Il modello del ciclo di vita applicato al settore automobilistico: il caso Uno. Poi attende la chiamata giusta. «Avevo già iniziato la carriera da assistente universitario - racconta -. Ma quando è arrivata l’offerta di Fiat non ho avuto perplessità. Ci siamo messi d’accordo in una settimana».

Quale percorso ha compiuto per arrivare ai vertici di Fiat? Nel 1982, acquisito il diploma in ragioneria, ero deciso ad iscrivermi a Economia aziendale in Cattolica. Durante il quinquennio, attraverso il docente di Marketing Giorgio Walter Scott (nella foto sotto), ho avuto la possibilità di contribuire alla stesura di un libro che la Fiat ha dedicato alla Uno, una vettura di grande successo commerciale che ha ridato ossigeno alle casse dell’azienda. Dopo un periodo speso come assistente del professor Scott in Cattolica, ho ricevuto l’offerta di entrare in Fiat, in un nuovo Ente che si sarebbe occupato di alleanze internazionali. Era quello che ho sempre voluto fare. Ecco perché ho impiegato poco a prendere la decisione di lasciare il mondo universitario. Sono in Fiat da 20 anni e ho avuto l’opportunità di spendere gran parte di questo tempo su attività internazionali. Nel 2005, chiuso il capitolo Gm, dove ero stato, nell’ultimo periodo, anche Chairman della joint-venture Powertrain, mi è stata data la responsabilità del business development di Fiat Group Automobiles, contestualmente a quella di Amministratore delegato di Tofas, la nostra joint-venture in Turchia. Successivamente, a fine 2006, ho assunto la responsabilità di Fiat Powertrain Technologies, sempre mantenendo la responsabilità del Business development. Oltre che in Turchia, ho vissuto in Cina quattro anni, un’esperienza molto formativa, che ha costituito l’inizio dell’attività operativa di Fiat in quel Paese.

L’intesa con Chrysler è l’operazione più importante della sua carriera? Si, ed è stata migliore di quanto avessimo previsto. Abbiamo salvato un’industria che, con la crisi economica, rischiava di colare a picco. Ne nascerà una più solida. Fiat sfrutterà il patrimonio di Chrysler per rientrare nel mercato americano e Chrysler, che potrà contare su tecnologie più avanzate e innovative, salverà oltre 30 mila posti di lavoro.

Dal 20% al 35 % del pacchetto azionario: come si completerà la vostra scalata? Abbiamo fissato tre step. Il primo prevede il raggiungimento di un fatturato di 1,5 miliardi di dollari al di fuori del mercato del Nafta. Il secondo passo lo faremo quando potremo dare l’ok alla costruzione di una vettura capace di percorrere 17 chilometri con un litro di benzina nel ciclo di omologazione. La scalata si perfezionerà con l’ingresso della tecnologia Fire nei motori delle vetture statunitensi. Essendo l’unico socio industriale, abbiamo la possibilità di massimizzare le sinergie e sfruttare al meglio le economie di scala. Non abbiamo sborsato cassa per acquisire le azioni di Chrisler, ma la tecnologia che abbiamo apportato è stata valutata tre miliardi di dollari.

Un anno di trattativa e poi l’accordo. Tra Fiat-Chrysler è stato amore a prima vista? Abbiamo compreso in fretta che si trattava di un’occasione unica per puntare a quella massa critica di 5,5-6 Mio di vetture che consideriamo quella ideale per generare una sostenibilità a lungo termine. Il processo è stato lungo sia per l’elevato numero di controparti coinvolte (vecchi azionisti, governo americano e canadese, sindacati, management, banche), sia per la oggettiva complessità della situazione che la profonda crisi del mercato Usa ha ulteriormente accentuato.

Come è cambiata Fiat dopo la scomparsa di Gianni Agnelli? Con l’Avvocato l’azienda godeva di un grande prestigio internazionale. La sua Fiat aveva interessi diversificati: banche, assicurazioni, ferrovie. Dal 2002, nel pieno di una crisi che ha portato l’azienda sull’orlo del fallimento, si è deciso di puntare esclusivamente sull’automotive (automobile, veicoli industriali, agricoli e movimento terra). Con lo sbarco sul mercato statunitense contiamo di ridare luce all’azienda anche oltreoceano. All’estero ci rispettano per l’atteggiamento di umiltà che caratterizza la nostra squadra.

Come stanno cambiando gli Stati Uniti con Obama? Gran parte del merito della ristrutturazione dell’industria dell’auto americana è anche del presidente Obama, che ha controllato, attraverso una task force dedicata, tutti i passaggi dell’operazione. Negli Usa succede tutto più velocemente che altrove. Alla crisi economica seguirà una fase di rinascita. Gli Stati Uniti hanno già intrapreso questo percorso.

Sergio Marchionne, numero uno di Fiat, l’ha scelta come uno dei suoi collaboratori. Cosa significa lavorare al suo fianco in una trattativa così delicata? Sergio Marchionne mi ha insegnato a fare questo lavoro. Una trattativa è come una partita di poker. Bisogna essere capaci, avere in mano le carte giuste e saper bluffare. Ma non si può pensare di chiudere un accordo che abbia un solo vincitore. Occorre avere la capacità di strutturare un dialogo costruttivo per ambo le parti. Più in generale, è un vero leader. è capace di tenere ritmi frenetici mantenendo un’estrema lucidità, ma la mole di lavoro diventa secondaria quando si porta a casa un risultato.

Una curiosità: con quale vettura si muove? Ho due Lancia: Delta e Thesis. Mia moglie e mio figlio viaggiano in Fiat: 500 e 16. Aveva dei dubbi?