«È nella natura dell’uomo calpestare con più violenza chi è caduto.» Al centro del teatro di Eschilo è il problema dell’azione e della colpa, della responsabilità e del castigo. Egli si chiede perché l’uomo debba soffrire, da dove provenga agli uomini il dolore: deriva solo dalla loro condizione di mortali, come affermavano i poeti arcaici, o da un errore originario, scontato dall’intera umanità, come è l’errore di Prometeo in Esiodo? Oppure all’interno della condizione umana vi è anche la responsabilità del singolo individuo? Secondo una salda e precisa concezione etica, il protagonista di Eschilo diventa pienamente tragico: non è più il mortale in balia di forze, di fronte alle quali è del tutto impotente, bensì l’uomo consapevole, sottoposto da un lato al dominio della necessità, dall’altro responsabile delle sue scelte e quindi, in caso di caduta, pienamente colpevole. Il conflitto è essenzialmente etico, scontro di concezioni più che di avvenimenti.

Eschilo sente tutta la forza del passato e cerca di recuperarlo senza rinnegarlo; alla luce della funzione edificante della punizione è chiaro che attraverso il dolore l’uomo matura la propria conoscenza e, scontando la sua pena, si rende conto dell'esistenza di un ordine perfetto e immutabile che regge il suo mondo. Tutta la tragedia di Eschilo è una tensione alla ricerca di una risposta che il drammaturgo arriverà a dare, rivestendo le sue opere di forza etica per la polis ateniese del V secolo, che assume sempre più il ruolo di città della democrazia, baluardo della libera Grecia contro la sete di conquista dei persiani, in un clima di convivenza, in cui vanno razionalizzandosi le norme di giustizia, affidate all’imparzialità del potere pubblico.

Proprio tale grande fiducia nelle istituzioni democratiche contraddistingue l’Orestea, che, mercoledì 31 ottobre, è stata presentata dalla prof.ssa Maria Pia Pattoni, docente di Letteratura greca presso l’Università Cattolica, nel secondo appuntamento di Letteratura&Letterature; accanto a lei, ad interpretare alcuni passi eschilei è stata Monica Ceccardi, attrice e drammaturga, protagonista dello spettacolo Mythos che andrà in scena i prossimi 22 e 23 dicembre presso il Teatro Sociale di Brescia.

Composta in un periodo di forti tensioni interne all’Atene di Pericle, la trilogia dell’Orestea, comprendente le tragedie Agamennone, Le Coefore e Le Eumenidi e oggetto di molteplici chiavi interpretative, è considerata a pieno titolo l’opera più politica del teatro attico, nella quale le istituzioni democratiche, rappresentate nella loro carica più alta dal tribunale dell’areopago, sono in grado di risolvere conflitti atavici, spezzando persino la lunga catena di vendette perpetrate dalla stirpe maledetta degli Atridi. Tratteggiando l’evoluzione drammaturgica del personaggio di Clitemestra, che nel corso dell’intera trilogia è dapprima protagonista assoluta, poi deuteragonista per ridursi infine ad ombra di sé e sottolineandone le novità rispetto al modello odissiaco, la relatrice ha posto l’accento sul significato del messaggio che Eschilo, in un appassionato atto di impegno sociale, volle lanciare agli ateniesi del suo tempo, traslando le vicende rappresentate da un ambito familiare insanguinato verso un più rassicurante orizzonte politico. Ne consegue, quindi, che il matrimonio, patto tra individui non consanguinei, trova il suo equivalente nel patto sociale che si instaura in uno stato di diritto; è possibile inoltre costruire un ulteriore parallelismo tra la concordia che dovrebbe crearsi all’interno della coppia di sposi e la concordia che dovrebbe regnare tra gli abitanti della polis. Anche in momenti di aspre lotte intestine, anarchia e dispotismo non possono e non devono imporsi; solo la democrazia, fondata sul profondo rispetto delle istituzioni, può e deve essere la via per una serena convivenza civile, in cui nessuno calpesti con maggiore violenza chi è già caduto.

Significativo ed emblematico è il grandioso finale delle Eumenidi con il canto delle benedizioni che il coro alterna agli interventi di Atena, come in una sorta di dialogo operistico tra interventi corali e recitativi solistici: l’uso sapiente della parola e il rispetto per le autorità preposte al governo della comunità faranno sì che «la discordia insaziabile di mali» cessi di lavare «sangue con sangue» e che il bene comune degli stati prevalga per l’eternità – ha sottolineato la prof.ssa Pattoni, ricalcando l’auspicio e l’esortazione di Eschilo – poiché «tra i mortali questo è rimedio contro molte calamità».