La verità è qualcosa di cui mi libero il più presto possibile”: ad una prima lettura questa massima potrebbe suonare come un elogio della menzogna, ma invece, velata da acuta ironia, ne è l’esatto contrario. Un gioco di contrasti capaci di convivere in modo equilibrato all’interno della medesima realtà: è questo l’effetto letterario che sortiscono le commedie di Oscar Wilde (1854-1900), specialmente quando l’autore fa indossare all’elegante e affettata società vittoriana abiti ridicoli, seppur ornati di finissime lavorazioni, che lasciano trasparire una trama sociale spesso rivestita ipocrisia e perbenismo. Non solo alcuni saggi profondi e brillanti, ma anche racconti e romanzi resero noto Oscar Wilde – basti pensare al mito creato con Il ritratto di Dorian Gray (The Picture of Dorian Gray, 1890) –, la cui visione dell’epoca a lui contemporanea emerge soprattutto in quattro commedie che sembrano essere ciascuna l’anticipazione e la preparazione della successiva, pur presentando caratteri e tratti autonomi. Tra queste vi è Un marito ideale (An Ideal Husband, 1895), opera incentrata sul tema della corruzione e dell’onore pubblico e privato, che è stata presentata giovedì 15 novembre da Francesco Rognoni, docente di Letteratura inglese e americana presso l’Università Cattolica; a dar voce ai personaggi di Wilde è stato l’attore Antonio Palazzo, formatosi con il Cut– La Stanza e ora attivo nello spettacolo Mythos del Ctb – Teatro Stabile di Brescia.

Nato a Dublino nel 1854, Oscar Wilde crebbe all’interno di una famiglia benestante: il padre era un importante oculista e la madre, che fece battezzare il figlio secondo il rito cattolico, una convinta nazionalista, nota in Irlanda come poetessa sotto lo pseudonimo di Speranza. Dopo aver concluso gli studi ad Oxford, il giovane Wilde si recò a Londra nella certezza di poter diventare, se non famoso, quantomeno famigerato (“if not famous, I’ll be notorious”), componendo tra il 1890 e il 1896 le sue opere più importanti. Gli anni precedenti erano serviti a preparare più il personaggio che l’autore: emblema dello stile di vita dandy, assorbì tutta la cultura decadente (in modo particolare la lezione di Walter Pater) che trovava nella delibazione delle sensazioni della vita il senso etico ed estetico dell’esistenza, coltivando la propria oggettività nella dispersione. Motivo di perdizione fu anche la relazione con un uomo più giovane, Alfred Douglas, che scatenò l’indignazione della Londra perbene al punto da essere condannato a due anni di lavori forzati; dopo questo periodo di profondo travaglio interiore – significativa è a tal riguardo la lettera De Profundis –, lontano dai figli e senza più madre né moglie, lo scrittore si abbandonò a sé stesso fino alla morte per febbre cerebrale nel 1900.

La produzione letteraria di Oscar Wilde è costellata di aforismi che, pur presentandosi nella formulazione tipica delle massime esistenziali (uno per tutti “Amare se stessi è l’inizio di un idillio che dura tutta la vita”), non interrompono l’azione, non si autocompiacciono, bensì si pongono al servizio del ritmo dell’intreccio, della maturazione dei personaggi, soprattutto nelle commedie. Se ne L’importanza di chiamarsi Ernesto (The Importance of Being Earnest, 1895) “per un uomo scoprire che tutta la vita non ha detto altro che la verità” ha un sapore squisitamente comico, in Un marito ideale il problema dell’affermazione della verità assume una connotazione più seria e complicata e alla levità del dettato corrisponde una certa gravità di contenuto, dovuta anche all’ambientazione dell’opera in un mondo di intrighi e speculazioni finanziarie, di diplomazia e fragili equilibri sociali.
La commedia porta in scena un felicissimo matrimonio nell’aristocratica società londinese di fine Ottocento: il marito è un illustre esponente del partito liberale arricchitosi per mezzo di un tradimento operato molti anni addietro, la moglie una donna ineccepibile in tutta la sua personalità, la cui perfezione non dipende solo dal suo impeccabile comportamento in pubblico, bensì anche dalla sua indole. La perfezione, però, ben diversa dalla perfettibilità, non ammette cambiamento e non consente di riconoscere quello altrui, avendo in sé l’impossibilità di un’evoluzione psicologica e morale: la moglie ignora il passato del marito, idealizzandolo e sostenendo che “il nostro passato è ciò che siamo”. Tuttavia, quest’opera presenta alcune aporie, in primis l’accettazione del moralismo tipicamente vittoriano che di lì a poco avrebbe condannato l’autore ai lavori forzati; Oscar Wilde lascia aperte ed incompiute potenzialità drammaturgiche che i registi di teatro e di cinema sono chiamati a sfruttare e completare, come nel caso della protagonista femminile, una perfetta donna vittoriana con tutte le possibilità per essere una perfetta donna moderna.