di Gianni Sibilla *

«Ho pensato a un Sanremo attuale, a brani da scaricare domani su Spotify»: in questa frase di Amadeus, direttore artistico e conduttore dell’edizione 2020, c’è tutto il rapporto complesso del Festival con il presente e con gli ascoltatori di musica. Chiunque abbia usato anche una sola volta Spotify sa che i brani, sulla piattaforma, non si “scaricano”. Si ascoltano e basta (o si “streammano”, con un brutto neologismo, italianizzazione di “to stream”). Leggendo quella frase, si ha avuto la sensazione che Amadeus non sapesse di cosa stesse parlando.

Insomma: Sanremo, l’istituzione più classica della musica e della Tv italiana, prova ad adeguarsi. In realtà è già successo: l’artista più “streammato” su Spotify nel 2019 è Ultimo, esploso a Sanremo nel 2018 e secondo nel 2019. La canzone vincitrice del 2019, “Soldi” di Mahmood, è stata ascoltata 141 milioni di volte (alla faccia di chi, l’anno scorso, criticava le giurie perché avevano fatto vincere un brano poco “popolare”).

Il Sanremo di Amadeus prova a mantenere questa scia mettendo in secondo piano la canzone melodica classica - quest’anno minoritaria - a favore di pop ritmato e rap.Ma di fatto quello che troviamo nel cast non è proprio quello che funziona sulle piattaforme. 

Salmo, annunciato come superospite, ha rinunciato sentendosi “a disagio”. Rancore è il nome che gode di maggiore credibilità, mentre Anastasio è famoso per essere il vincitore di X Factor; Junior Cally è un nome minore della scena italiana. Elodie ha un passato da “Amici” e un album in uscita in cui si riposiziona duettando con Fabri Fibra, Marracash, Gue Pequeno, Gemitaiz, che però si guardano bene dal venire in riviera. Poi c’è Myss Keta, che è parte del cast del DopoFestival (quest’anno denominato “AltroFestival” e solo in streaming sulla piattaforma video RaiPlay) e sarà presente nella serata dei duetti. E c’è Ghali, che inizialmente sembrava dovesse far parte del cast ma è stato recuperato in extremis come ospite.

Il fatto è che, come raccontava Claudio Baglioni, direttore artistico delle edizioni precedenti, non è solo Sanremo che ha un problema con il rap, è il rap che ha un problema con Sanremo: andare a una manifestazione ritenuta “vecchia” significa perdere credibilità con il proprio pubblico, per i rapper e i trapper.

Se qualcuno ha un deja-vu sulle polemiche di quest’anno, e sul tentativo di modernizzare il festival: non preoccupatevi, non è una sensazione. Da poco è stato pubblicato “Il festival di Sanremo”, bel volume di Eddy Anselmi uscito da poco per DeAgostini: una cronaca dettagliata del Festival, anno per anno. La precisione dei fatti messi nero su bianco da Anselmi conferma che tutto quello che abbiamo visto e vedremo è già successo. 

Le polemiche sulle giurie (negli anni ’80 addirittura si dubitava esistessero: erano nascoste per l’Italia dal “patron” Gianni Ravera); le richieste di esclusione per questa o quella canzone, per motivi più vari. Un conduttore che viene continuamente messo in discussione e il ruolo delle figure femminili, relegate sempre “un passo indietro” (come ha detto quest’anno Amadeus, con la sua uscita più infelice della conferenza stampa). L’industria che cerca di usare il festival come vetrina per (ri)lanciare artisti (negli anni ’80 impose il playback totale perché voleva promuovere le canzoni così come si vendevano in vinile). I timidi tentativi di includere una musica più contemporanea (l’elettronica negli anni ’80, il rock tra ’90 e anni zero). La Rai che bada allo spettacolo e ai risultati di ascolto. La quantità infinita di ospiti. La politica che si appropria della manifestazione in cerca di consensi. Sono cambiati gli strumenti, quello sì basti pensare all’impatto dei social degli ultimi anni: le polemiche dell’anno scorso sulle giurie sono partite dal post su Facebook di un politico che dice di non avere tempo di occuparsi di Sanremo e da quelli di manager cantanti che hanno scatenato le loro “fan-base” su Twitter e Instagram.

Nonostante tutto, Sanremo rimane il “media event” più importante d’Italia - persino Spotify ha scelto di debuttare in Italia, nel 2013, durante la settimana del Festival. Un’enorme bolla che dura una settimana, in cui tutto cambia per non cambiare.

* direttore didattico del Master in Comunicazione musicale dell’Università Cattolica e giornalista di Rockol. Quello del 2020 è il suo sedicesimo Festival da inviato in sala stampa all’Ariston: lo racconterà sia su rockol.it che sui social. Su Twitter e Instagram è @giannisibilla; l’account instagram di Rockol è @rockol.it