È morto nella sua Brescia il filosofo Emanuele Severino. La notizia della sua scomparsa, avvenuta lo scorso 17 gennaio, è stata resa pubblica solo oggi, come da sua volontà. Severino, considerato uno dei maggiori filosofi italiani, fu uno degli allievi più brillanti di Gustavo Bontadini, esponente di spicco del movimento neotomista in Italia.

Laureatosi giovanissimo all’Università di Pavia, è stato docente all’Università Cattolica dove ha insegnato dal 1954 al 1969. Tra le sue prime opere figura ‘La struttura originaria’, pubblicata nel 1958, libro che leggeva con passione anche il futuro cardinale di Milano Angelo Scola, allora suo allievo.

Per il novantesimo compleanno di Severino, la sua città, Brescia, dove era nato il 26 febbraio del 1929, lo aveva festeggiato con una giornata dedicata al suo pensiero filosofico, ospitata nel campus bresciano dell’Università Cattolica.


Pubblichiamo qui l’ultima intervista a Severino, apparsa su Avvenire il 25 maggio 2019, a firma di Monica Mondo di Tv2000. Si tratta della trascrizione parziale della videointervista che Monica Mondo realizzò per la puntata del programma Soul di domenica 26 maggio.

di Monica Mondo

Emanuele Severino, un gigante del pensiero. Inarrestabile, ineffabile, inesauribile. 90 anni e un monumento, come la summa, il sistema che nacque da una folgorazione, a 23 anni. E che non ha mai abbandonato, né hanno sgretolato il tempo, il dubbio, le incrinature esistenziali.

Lei è riconosciuto come tra i più grandi filosofi viventi, la imbarazza?
No, perché non lo credo. Insomma, qualche volta dicono frasi di questo genere. Lascio la responsabilità a chi le pronuncia.

L’ho detto apposta come provocazione, però è vero che sono decine le sue opere, e tradotte in molte lingue, l’ultima Testimoniando il destino, pubblicata da Adelphi. Il destino non è Dio, potrei dire riassumendo e banalizzando il percorso che l’ha portata da giovane dalla fede cattolica a tutta un’altra struttura del pensiero. Qual è il destino?
Forse è meglio dire che cos'è il destino. Restiamo all'etimo della parola. Ciò che sta. Intendendo quel de non come un moto da luogo ma come un intensificativo. Il latino dice deamare, che non vuol dire amare provenendo da, ma amare molto molto. Anche un'altra parola, devincere, vuol dire vincere definitivamente e radicalmente. Uso la parola destino per indicare questo "stare" che non si lascia scuotere da alcun'altra forza. Ora la questione più importante dal punto di vista della comunicazione culturale è come mai oggi che la cultura, non solo filosofica ma anche scientifica, respinge l'idea di un sapere stabile, come mai qualcuno ripropone “l'assolutamente stante”? L’eliminazione di ogni sapere definitivo proviene dal modo in cui la filosofia greca ha mosso i primi passi. Il destino, il divenire, mette in questione quei primi passi. Si comprende allora perché si torni a cercare l'assolutamente stabile.

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