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Migranti, cittadini si diventa

brescia Migranti, cittadini si diventa Secondo una ricerca condotta dal Cirmib gli immigrati naturalizzati o in fase di naturalizzazione mostrano un forte senso d’appartenenza all’Italia ma non sono ancora pronti a svolgere un ruolo attivo nella società. marzo 2019 Ben integrati nel tessuto sociale bresciano nel quale risiedono da molti anni, dotati di un forte sentimento d’appartenenza all’Italia, ma non ancora preparati a svolgere un ruolo attivo nella società italiana di cui fanno parte. È l’identikit del cittadino straniero naturalizzato italiano, o in fase di naturalizzazione, profilato da una ricerca condotta dal Cirmib, che sottolinea come ci sia ancora molto da fare in fatto di partecipazione attiva. L’obiettivo? Approfondire le motivazioni, le aspettative e le criticità del percorso di “naturalizzazione” di cittadini con provenienza migratoria in provincia di Brescia, portando così alla realizzazione di una vera e propria Guida di Cittadinanza Attiva, redatta in italiano e indirizzata ai cittadini dei paesi terzi richiedenti cittadinanza. Ad essere intervistati sono stati 21 soggetti adulti, 10 donne e 11 uomini (di cui, al momento dell’intervista, uno solo aveva ottenuto la cittadinanza da poco meno di un anno, tre avevano da poco pronunciato il giuramento; i restanti 18 soggetti si trovavano ancora nella fase di naturalizzazione). di Brescia, in collaborazione con Università Cattolica, Università Statale e Associazione Comuni Bresciani e rivolto ai cittadini di paesi terzi richiedenti cittadinanza italiana, e agli operatori pubblici e privati dei servizi front-office degli sportelli cittadinanza e immigrazione. Si vuole dimostrare che la naturalizzazione (cioè “diventare italiani”) non è solo la conclusione di un iter burocratico, bensì l’inizio di un nuovo percorso fatto tanto di diritti quanto di doveri verso gli altri.

 

Harman, il mio 2 giugno da nuova italiana

Brescia Harman, il mio 2 giugno da nuova italiana Ha 23 anni, studia alla magistrale in Scienze linguistiche, è di origine indiana e da poco è cittadina italiana. Sarà davvero una grande festa per Harmanjot Kaur (Harman per gli amici), studentessa al primo anno del corso di laurea magistrale alla facoltà di Scienze linguistiche nella sede di Brescia dell’Ateneo. Harmanjot, che è stata invitata con altri studenti alle celebrazioni che in città si terranno nella splendida cornice del Teatro Grande, ha le idee chiare su cosa significhi essere italiano. Molto più di tanti suoi coetanei nati qui. In Italia dal 1999, di origine indiana, 23 anni, Harman è affascinata dalle lingue (ne conosce più di sei) fin dal liceo frequentato a Cremona, prima di iscriversi alla laurea triennale in Scienze linguistiche in Università Cattolica. La studentessa italo-indiana, nella tavola rotonda di cui sarà protagonista insieme a Luca Masserdotti , studente della triennale in Scienze politiche e delle relazioni internazionali, ha inoltre scelto di parlare, fra gli articoli della Costituzione italiana, dell’articolo 34. Ha scelto questo articolo perché anche lei grazie al merito e al reddito ha ottenuto negli ultimi due anni borse di studio dalla Cattolica che le hanno permesso di arrivare fino al primo anno di laurea magistrale. Anche lei, come Harmanjot Kaur, è una studentessa di Scienze linguistiche alla sede di Brescia dell’Ateneo ed è fiera di essere italiana.

 

Ius soli, la legge imperfetta

Ogni legge in questa materia è per definizione imperfetta, e imperfetta non potrà che essere anche la legge che esiterà dal dibattito parlamentare. Già oggi, circa 4 su 10 degli stranieri che diventano cittadini (oltre 200mila nel 2016) sono giovani fino ai 19 anni, divenuti italiani per scelta al raggiungimento della maggiore età o, più spesso, per trasmissione dai genitori che hanno maturato i requisiti per richiedere la naturalizzazione. Fomentare la paura che “regalando” la cittadinanza si finirà con l’immettere nel corpo della nazione persone di dubbia lealtà può essere un argomento seducente, ma che diventa insostenibile quando lo si indichi come probabile effetto della riforma in discussione. A calamitare gli immigrati, specie quelli irregolari, è semmai, da sempre, l’ampia e radicata economia sommersa, con la sua insaziabile domanda di lavoro iper-adattabile, insieme alla nostra “tolleranza” verso l’immigrazione irregolare e le pratiche d’aggiramento della legge (che vedono gli immigrati perfettamente “integrati” al mal costume italico). Poiché un mutamento di status non avrà alcuna efficacia nel riequilibrare la composizione di una popolazione che registra - nonostante il contributo di un’immigrazione concentrata nelle età riproduttive - un numero di nascite annuali più che dimezzato rispetto a quello dei mitici anni del baby boom. Tanto da renderci sconcertati di fronte a un paese che tollera, nei confronti degli immigrati per i quali s’invoca l’uguaglianza, situazioni di sistematica violazione dei diritti più basilari, e condizioni di sfruttamento che rasentano lo schiavismo. Ma il suo significato potrebbe essere ancor più rilevante per le molte giovani vittime della condizione di disagio strutturale che segna l’esperienza dei figli di un’immigrazione concentrata nei gradini più bassi della stratificazione sociale.

 
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