Ben integrati nel tessuto sociale bresciano nel quale risiedono da molti anni, dotati di un forte sentimento d’appartenenza all’Italia, ma non ancora preparati a svolgere un ruolo attivo nella società italiana di cui fanno parte.

È l’identikit del cittadino straniero naturalizzato italiano, o in fase di naturalizzazione, profilato da una ricerca condotta dal Cirmib, che sottolinea come ci sia ancora molto da fare in fatto di partecipazione attiva. Un’attitudine ancora poco sperimentata dalla maggior parte dei neo-cittadini italiani che, al contrario, si limitano alla solidarietà e all’impegno civico verso i connazionali espatriati e verso la madrepatria.

L’iniziativa, finanziata nell'ambito del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) 2014-2020 “Benvenuti Cittadini Italiani – I nostri diritti i nostri doveri”, si è svolta nell’arco del biennio 2017-2019 e mirava a migliorare i livelli di gestione e di erogazione del Servizio Cittadinanza, garantendo inoltre la reale integrazione di quei cittadini di Paesi terzi interessati ad acquisire la cittadinanza italiana, informandoli sulle forme di partecipazione alla vita istituzionale, politica e sociale del Paese.

In questo contesto, l’equipe di lavoro diretta dalla professoressa Maddalena Colombo ha condotto tra maggio e ottobre 2018 un sondaggio qualitativo, mediante la somministrazione d’interviste a un campione ragionato, anche se non statisticamente rappresentativo, di ventuno neo-naturalizzati di varia provenienza. 

L’obiettivo? Approfondire le motivazioni, le aspettative e le criticità del percorso di “naturalizzazione” di cittadini con provenienza migratoria in provincia di Brescia, portando così alla realizzazione di una vera e propria Guida di Cittadinanza Attiva, redatta in italiano e indirizzata ai cittadini dei paesi terzi richiedenti cittadinanza.

Ad essere intervistati sono stati 21 soggetti adulti, 10 donne e 11 uomini (di cui, al momento dell’intervista, uno solo aveva ottenuto la cittadinanza da poco meno di un anno, tre avevano da poco pronunciato il giuramento; i restanti 18 soggetti si trovavano ancora nella fase di naturalizzazione).  Nove le nazionalità di provenienza (Albania, Egitto, Guinea, India, Marocco, Pakistan, Romania, Tunisia, Ucraina) unite dal comune denominatore di un livello di istruzione medio-alto (solo due intervistati, infatti, hanno un livello di istruzione elementare e media. Gli altri: cinque una qualifica professionale, sei maturità, sette una laurea, uno il dottorato). 

Tra i canali e le esperienze facilitatrici per l’assorbimento della cultura nuova figurano il lavoro, la scuola frequentata da sé e dai figli, la vita relazionale nel paese o nel quartiere di abitazione e, così come accaduto con gli italiani del Dopoguerra, anche mezzi di comunicazione come tv e giornali.

Se tutti i soggetti hanno esplicitato il desiderio di raggiungere la cittadinanza italiana per avere riconosciuti gli stessi diritti e tutti i doveri di un nativo, a conclusione di un percorso che ritengono di avere già compiuto in ossequio alle regole di convivenza, questo accade anche in virtù una visione estremamente positiva del Belpaese, basata su fattori ambientali e sul senso di vicinanza al modo di sentire e agire degli italiani.

Il tipo di cittadinanza incarnata da quasi tutti i soggetti intervistati, con l’eccezione di un paio, resta tuttavia legata a un’idea di attributo formale e, quindi, sostanzialmente passiva (essere cittadini vuol dire fare come gli altri, non dare problemi agli altri), mentre rimane ancora molto da fare in fatto di partecipazione attiva (adoperarsi per il Paese, fare volontariato) ancora poco sperimentata dalla maggior parte, che invece si limita alla solidarietà e all’impegno civico più che altro verso i connazionali espatriati e verso la madrepatria.
 
Al momento della naturalizzazione, quindi, il cittadino con origini migratorie non è preparato a svolgere un ruolo attivo nella società italiana ma per lo più è concentrato sul risultato dei suoi sforzi individuali, considerando l’acquisizione della cittadinanza giuridica la sua “meta finale”, cioè un punto d’arrivo.