Molto più importante di un passaporto o di qualsiasi altro documento che descrive le generalità di una persona. Mettere nero su bianco le capacità individuali è l’obiettivo di Espar, l’Europan Skills Passport for refugees. Il documento è pensato per certificare le competenze dei rifugiati, perché solo diventando consapevoli di quel che si è in grado di fare è possibile trovare un lavoro adatto a sé.

Il  progetto Espar è stato presentato nella sede di via Buonarroti dell’Ateneo venerdì 9 febbraio, nell’ambito del convegno “Valorizzare competenze per costruire integrazione”. L’incontro è stato introdotto dal professor Alessandro Antonietti, direttore del Centro di ricerca sull’orientamento e lo sviluppo socio-professionale dell’Università Cattolica (Cross), e da Maria Assunta Rosa del Ministero dell’Interno, che ha definito Espar «la prova che migliorare l’accoglienza è possibile».

All’incontro era presente anche la professoressa Cristina Castelli, ideatrice del progetto, che ne ha raccontato la nascita. La psicologa ha spiegato la necessità di aiutare chi arriva in Italia a costruire resilienza dopo un viaggio così difficile. E come ciò possa avvenire solo attraverso il fare, perché non si può costruire futuro se si resta congelati nelle difficoltà del presente. 

Cristina Pugnal, dell’Istituto Oikos Onlus, e Martina Vitalone, della Coperativa Lotta contro l’emarginazione hanno raccontato il progetto in qualità di operatrici in centri di accoglienza, portando alla luce storie di integrazione e speranza. Con loro, alcuni dei protagonisti di queste storie: tre giovani arrivati da poco in Italia che, con sincerità e un pizzico di imbarazzo, hanno raccontato di come Espar abbia dato loro un concreto progetto per il futuro.

Diego Boerchi, ricercatore del Dipartimento di Psicologia, ha presentato i dati sull’occupazione dei rifugiati nel territorio italiano, prima di lasciare spazio a una tavola rotonda moderata da Paolo Foschini del Corriere della Sera.

A chiusura, sono state ancora le storie di chi Espar lo ha vissuto sulla propria pelle a essere protagoniste. Affiancati dai professori Laura Zanfrini, Diego Boerchi e Maddalena Colombo, diversi immigrati, che hanno preso parte al progetto, hanno condiviso le proprie esperienze.