Via Necchi, al centro di Milano, vicinissima alla basilica di Sant’Ambrogio, è un luogo di passaggio per moltissimi studenti dell’Università Cattolica. In poche decine di metri si incontrano una mensa universitaria, uno dei collegi più antichi della città, l’Augustinianum, fortemente voluto da padre Agostino Gemelli, e i vecchi locali del Ludovicianum, oggi trasferito in via San Vittore. Un giorno di maggio le anonime facciate degli edifici vengono sconvolte da un tripudio di cartelloni, disegni, striscioni. All’ora di punta, mentre studenti e professori si affrettano a godersi la pausa pranzo, capita di imbattersi in una sfilata di ragazzi in costume, truccati in viso, fradici d’acqua. Il rito della "nicchiatio" all'AugustinianumQuella dei secchi che alcuni studenti più grandi hanno lanciato loro addosso, incuranti degli sguardi incuriositi, divertiti o sconcertati dei passanti. È il rito mattutino della festa di maggio, l’evento che nei collegi dell’Università Cattolica è dedicato alle matricole. Difficile andare oltre l’apparenza per chi non vive da dentro la realtà collegiale. «Durante la festa - racconta Gerlando Trupia, dell’Augustinianum, al secondo anno di Giurisprudenza - ciascuno si sveste dei propri abiti sociali. Non esiste più il borghese, il figlio dell’operaio, dell’impiegato o dell’imprenditore. Diventiamo tutti uguali. Dall’esterno sembra tutto una pagliacciata. In realtà è un rito di passaggio, il simbolo di un nuovo inizio. E nessuno è costretto a farlo». La nicchiatio, così viene chiamato il rito del secchio d’acqua lanciato contro le matricole, è solo una tappa della goliardia, tradizione che ha unito generazioni di collegiali e che continua a caratterizzare la vita dei 1.445 studenti dell’Università Cattolica che nell’anno accademico 2009/10 hanno preferito il collegio all’appartamento o al pendolarismo dei fuori sede.

TRA PASSATO E PRESENTE

Sono 23 le residenze che l’Università Cattolica gestisce direttamente, o in convenzione. Otto rispettivamente a Milano e Roma, quattro a Brescia, tre fra Piacenza e Cremona. Sin dall’inizio, padre Gemelli aveva pensato al collegio come a un elemento inscindibile dalla costruzione di un ateneo cattolico. «I Collegi sono un luogo privilegiato dove “fare universitas”, una proposta di formazione integrale - spiega Filippo Casonatto, direttore del collegio Ludovicianum -. Gemelli era convinto che un medico o un avvocato necessitassero non solo di una solida competenza tecnica, ma anche di approfondimenti che favorissero la formazione di uno spirito critico. L’idea dei collegi veniva incontro a questa esigenza, perché la comunità favorisce un arricchimento generale e ti coinvolge in attività che, non essendo legate a un solo ambito disciplinare, completano il tuo percorso».


Formare élite senza essere elitari. Era il motto originario - e tuttora valido - che in poche parole illumina la finalità principale dei collegi cattolici. Nei decenni successivi, molti esponenti della classe dirigente italiana hanno speso anni tra le mura delle residenze milanesi. Romano Prodi, Giovanni Maria Flick e Tiziano Treu, si sono ritrovati insieme nello stesso governo presieduto dal “Professore”, ma la loro conoscenza risale all’Augustinianum alla fine degli anni ’50. «Erano anni in cui si pensava che tutto fosse possibile - racconta Prodi, che nel collegio in cui ha studiato ha concluso lo scorso 28 aprile il percorso di formazione dei collegi sulla Storia della Repubblica con una lezione sull'Europa e ha risposto alle domande di Cattolicanews nella video-intervista qui a lato -. Avevamo la percezione di partecipare a una grande avventura: Milano sarebbe diventata come New York, uno dei centri d’innovazione del mondo. Questo meccanismo della speranza si basava non solo su studi severi, ma anche su una congiuntura particolare in cui sembrava che quella società avrebbe raggiunto il livello massimo dell’umanità. C’era inoltre una passione politica condivisa ed erano anni di approfondimento religioso diffuso. Discutevamo moltissimo, ad esempio, dei rapporti tra Chiesa e politica». Non c’è solo il caso alla base di una tale concentrazione di protagonisti della futura politica italiana in un unico ambiente. Secondo Prodi, c’era un meccanismo di selezione che andava a pescare i ragazzi più in gamba, soprattutto quelli della provincia che, si sa, sono i più disposti a fare sacrifici.

IL PROGETTO FORMATIVO

“Sacrificio”, parola sicuramente di scarso appeal ma piena di significato per la Cattolica. Gli studenti che scelgono i collegi dell’Università vengono coinvolti in un progetto formativo di lungo termine, che offre anche la possibilità di frequentare corsi extracurriculari. Grazie alla collaborazione con le Alte Scuole, sono messi a disposizione degli studenti percorsi per approfondire la lingua inglese, le relazioni internazionali o la progettazione di eventi culturali, solo per citarne alcuni. Tutti corsi riservati ai collegiali che hanno la possibilità di avere un confronto diretto con i professori. «È come se facessero un master mentre frequentano il loro corso universitario - sintetizza Casonatto -. A questi ragazzi è chiesto molto di più rispetto agli altri studenti». Inevitabilmente gli spazi e i tempi si restringono, trasformando gradualmente il rapporto tra libertà personale e responsabilità, tra svago e impegno. «All’Augustinianum - racconta Gerlando - siamo liberi di fare o non fare. Quando decidi di impegnarti, inizi a costruire dentro te stesso un senso di responsabilità che rimanendo fuori, astenendoti, o non facendo, non acquisirai mai». Parole che trovano un’eco nella riflessione di don Luigi Galli, assistente spirituale di uno dei collegi milanesi: «Mi sembra che le generazioni attuali siano molto più libere rispetto alle precedenti. La nebbia dell’ideologia era d’ostacolo a interpretare liberamente la realtà. I ragazzi di oggi, invece, non stanno a vedere da che parte stai per decidere se hai torto o ragione, e questo è un segno di grande libertà interiore. Il problema, invece, potrebbe essere la minor criticità, intesa nell’accezione di senso critico».

CAMPUS vs COLLEGIO?

Nel frattempo, secondo fonti ministeriali, la domanda e l’offerta di residenze universitarie aumentano quantitativamente, sia negli atenei pubblici che in quelli privati. Perché allora in Italia quella dei collegi sembra una proposta fuori moda rispetto all’immagine “cool” che hanno saputo costruire i campus anglosassoni? È ancora possibile “creare élite senza essere elitari”?

«Oggi è difficile dare una definizione di classe dirigente - prova a spiegare Casonatto -. Dai collegi sono usciti studiosi, politici, uomini di impresa, magistrati. E anche gli studenti che si stanno formando in questi anni vogliono dare al Paese il proprio contributo. È innegabile che, rispetto ai decenni passati, ci sia stato un minimo di flessione, perché i grandissimi nomi sono venuti a mancare, ma consideriamo anche il fatto che i meccanismi di selezione della classe politica, per esempio, sono molto cambiati. Quanto al confronto con modelli d'oltreoceano, noi abbiamo un approccio diverso. Negli Stati Uniti o in Inghilterra si insiste molto sul risultato accademico e si offrono strumenti straordinari per ottenere il massimo in questo senso. Noi, pur dotandoci gradualmente di strumenti analoghi, proviamo ad andare oltre l'acquisizione di abilità professionalizzanti, proiettandoci su una dimensione educativa che nasca dalla relazione tra docenti, spesso coinvolti nei progetti, e collegiali».

C’è un’altra peculiarità che caratterizza il progetto dei collegi della Cattolica a Milano e che li distingue non solo dalle altre residenze sparse per l’Italia, ma anche dai campus americani. «All’estero - continua Casonatto -, soprattutto nel mondo anglosassone, queste strutture sono nate tendenzialmente fuori città, perché l’obiettivo era creare comunità indipendenti. La grande novità dei collegi milanesi, invece, è la scelta di stare dentro la città, nel suo cuore storico. Un campus in città, come recitava il titolo di una pubblicazione di qualche anno fa. Questo significa disporre di spazi meno ampi, ma avere l’opportunità di porci con le nostre iniziative in dialogo con il tessuto culturale e produttivo della città». È il problema opposto che vivono le residenze romane, come rileva il preside di Medicina Paolo Magistrelli: tranne due strutture, le altre sei si trovano fuori Roma e gli studenti si incontrano solo per le Collegiadi, ma nella vita quotidiana i collegiali che stanno fuori città non fanno vita comunitaria con quelli del centro storico.

COLLEGIO, CAMPUS O APPARTAMENTO?

Se facciamo un rapido confronto economico, la differenza con gli Usa risulta subito evidente. A Milano, chi ha un reddito superiore ai 34mila euro annui - e fa parte della fascia più alta -, paga poco più di 600 euro al mese nei collegi dell’Università Cattolica per aver garantito vitto e alloggio. Al San Damiano di Roma, sempre per la fascia di reddito più alta, la quota scende a circa 430 euro (ma con vitto escluso). In totale nel capoluogo lombardo fanno circa 7.500 euro l’anno, a Roma 5.200, anche se i servizi offerti sono diversi. Se si considerano le eccellenze americane, le cifre si quadruplicano: chi sceglie Berkeley, il top tra le università pubbliche, paga mediamente 28 mila dollari all’anno. Spiccioli in confronto ai campus privati come Harvard, dove servono annualmente più o meno 50 mila dollari (retta del campus più tasse universitarie). Quello che all’apparenza sembra il classico sogno americano accessibile a pochi, tuttavia, nasconde molte opportunità di abbattimento dei costi. Alle borse di studio erogate dagli atenei si aggiungono le scolarship che le banche offrono agli studenti più meritevoli. Veri e propri prestiti che scommettono sui risultati ottenuti a scuola, sulla qualità e la professionalità della “meglio gioventù” americana. Tornando dentro i confini nazionali, come sottolineato dal rettore Lorenzo Ornaghi durante l’ultimo discorso inaugurale, nell’anno accademico 2007-08, l’Università Cattolica ha esonerato dal pagamento delle tasse di iscrizione oltre 3.700 studenti, mentre quasi altri 6 mila hanno usufruito di agevolazioni finanziarie e altre forme di aiuto. L’impegno economico complessivo dell’Ateneo è stato, lo scorso anno, di oltre 13 milioni e mezzo di euro, a cui si sommano i più di 10 milioni erogati da Educatt, l’Ente per il diritto allo studio universitario di Università Cattolica, che gestisce le residenze universitarie, e le borse si studio promosse dall’Istituto Toniolo (a lato). L’investimento dà la possibilità alle fasce di reddito più basse - quelle fino a 16mila euro annui - di frequentare i collegi senza nessuna spesa. In ogni caso, una soluzione economicamente vantaggiosa visto che anche la rata più alta (i 600 euro annui per una camera singola in centro città con vitto incluso), è preferibile alle spese di appartamento (circa 500 euro per il solo affitto). «Dal punto di vista strutturale - racconta Giuseppe Cianflone, “agostino” al quarto anno di Giurisprudenza -, qui dentro c’è tutto: mensa, sala giochi, palestra, conferenze, ragazzi con cui parlare. Ci sarebbe anche il rischio di chiudersi. Eppure non succede».

IDENTITÀ E GOLIARDIA

Un momento delle feste di maggio dell'AugustinianumChiudersi, essere etichettati come elitari, o, peggio, come un branco. A volte la percezione dei collegi che si ha dall’esterno rischia di essere questa. «C’è una differenza sostanziale tra un gruppo chiuso e una comunità con una forte identità - osserva Giuseppe -. Il branco è tenuto insieme da cattive abitudini comuni. Qui in collegio ci sono invece una miriade di interessi diversi che si conciliano. L’unica variabile comune è la ricerca di una formazione completa». Negli ultimi anni c’è stata una graduale apertura della vita collegiale verso l’esterno, in particolare rispetto al resto del mondo universitario. Per questo ai riti della goliardia si è voluto dare una dimensione pubblica, organizzando le sfilate per strada e lasciando libero accesso alle feste serali. «Leggo spesso in alcuni blog e forum la parola “nonnismo” accostata alla vita del collegio - racconta Gerlando -. La stessa cosa accade tra gli studenti della Cattolica. La gente è curiosa, chiede, ma nessuno sa dare una risposta. Io dico che c’è una differenza sostanziale tra nonnismo e goliardia. Il primo viene fatto per rispetto di una gerarchia, sei costretto a servire i più anziani. La goliardia serve a creare unione tra le matricole. Per esempio, durante “i processi” serali, come quelli che mostra il video d’epoca realizzato negli anni ’50, si cerca di far uscire il meglio dai ragazzi: si comincia con domande personali e si finisce con la cultura generale. È un modo per mettere a nudo il proprio carattere e levare quel velo di apparenza che c’è in ognuno di noi. Non esistono vere punizioni, ma solo scherzi innocui per riderci su». C’è però chi decide di rifiutare la goliardia. In verità sempre meno negli ultimi anni. Secondo Giuseppe, chi se ne va dopo un anno, in genere non scappa da queste tradizioni, ma da un modello di vita: «Non è facile per tutti relazionarsi improvvisamente con una comunità di 80 persone e abituarsi ai ritmi che ne derivano».

UNA FORTE ESPERIENZA COMUNITARIA

Le ragazze del Paolo VI durante uno dei laboratori del progetto PortraitÈ quello che l’università italiana va perdendo per strada, a favore di un modello che assomiglia sempre di più allo stile della scuola superiore. Un “mordi e fuggi” agevolato dalla riforma del 3+2. Ne è convinto don Luigi Galli: «La formazione e la cultura presuppongono una certa sedimentazione. In tre anni si riesce a far poco, in due ancora meno. Il sistema del 3+2 ha stretto tutti i tempi: ci sono esami incalzanti, orari affannosi, che rendono difficile qualsiasi proposta extracurriculare. Convivo con gli esiti di questa fretta. La liceizzazione dell’Università è un problema reale: se fai una strada adagio fai dieci foto, se la fai di corsa ne fai due». Ma cosa ha cambiato la fine del ciclo unico nella vita collegiale? Alcune studentesse del Paolo VI, collegio femminile milanese dell’Università Cattolica, hanno individuato nel passaggio al 3+2 una delle difficoltà principali del mettere in campo un progetto educativo. «Il progetto Portrait - spiega Elena Mantelli, una delle ideatrici – era finalizzato a ripensare e ad attualizzare i valori che stanno alla base del progetto formativo dei collegi. I ludi, ad esempio, le manifestazioni goliardiche, sono ancora organizzati secondo lo schema delle lauree quadriennali. Oggi non hanno più molto senso, perché ci troviamo a che fare con delle matricole che sono tali solo per il collegio, mentre magari queste ragazze frequentano già una specialistica e hanno alle spalle una laurea triennale in un’altra università».

Meno pessimisti gli studenti dell’Augustinianum in merito alle ripercussioni del sistema post-riforma sulla vita collegiale. «Ci sono pro e contro - spiega Andrea Mandarà, matricola dell’Augustinianum -. È un’interruzione che può risultare positiva, perché favorisce il riflusso delle persone e il ricambio generazionale necessario alla vita del collegio. Inoltre, rovesciando il punto di vista, dopo tre anni ci sono persone che hanno la necessità di andare altrove. Rimanere per cinque o sei anni qui rischia di diminuire il confronto».

Il mondo cambia e la proposta dei collegi dell’Università Cattolica si adegua, per non tradire il motto sempre valido “creare elite senza essere elitari”, come spiega qui accanto la presidente di Educatt. Un consiglio ai collegiali di oggi? «Interessatevi un po’ alla politica, non cominciando a fare i galoppini, ma preparandovi professionalmente con l’idea che un domani dovete restituire qualcosa – conclude Romano Prodi -. E poi ricordatevi che si impara anche a tavola con i colleghi, non solo a lezione dai professori».