di Giovanni Calviati *

Un mese tra posti mozzafiato. A partire dal sorvolo aereo 10.000 metri sopra il Rio delle Amazzoni, un fiume immenso come il mare, con la vegetazione che si estendeva per chilometri e chilometri. E poi, prima di arrivare alla destinazione finale, Atalaya, qualche giorno a Lima, una città che è dieci volte Milano con il traffico di Napoli piena di profumi colori e sapori, con le sue maestose chiese piene d’oro. Fino a avventurarci nel cuore della foresta.

Prima tappa Satipo, piccola cittadina tropicale. Prima di raggiungerla attraversiamo la costa, il deserto e le Ande passando per Ticlio, tra ghiacciai e cime rocciose a circa 4700 metri, dove l'ossigeno scarseggia e l'altura si fa sentire in modo prepotente. Discendendo le Ande verso i 2.500 inizia la vegetazione sempre più rigogliosa. I canyon e le valli sono sempre più affascinanti con ruscelli che sgorgano ovunque in scorci suggestivi curva dopo curva. Verso le 10 arriviamo a Satipo e prendiamo una 4x4 per attraversare la foresta fino Atalaya. Il viaggio dura circa 7 ore su terra battuta con attraversamenti su barche, diverse volte abbiamo guadato torrenti e percorso tornanti pericolosi, i piloti sono molto esperti e il viaggio diventa una gara di rally col tempo per arrivare in paese prima che cali il buio tra gli alberi altissimi. Durante tutto il percorso si apprezzano paesaggi stupendi quasi fiabeschi.

Giunti nei terreni dell’Universidad Católica Sede Sapientiae, il personale molto affabile ci accoglie con grande ospitalità. All'alba, col sorgere del sole, gli uccelli cantano come un’orchestra: pappagalli, paucar, are, michilà svegliano tutta l'università. Il sole scalda subito l'atmosfera e ci prepariamo a conoscere i campi e le piantagioni dove avremo collaborato insieme alla squadra di lavoratori.

Un lotto abbastanza grande di circa 40 ettari coltivati si trova in località Marankiari. Al limite delle ultime capanne della cittadina inizia la salita verso il monte che risaliamo con machete alla mano, nella prima parcella c'è il vivaio, sotto un telo ombreggiante dove vengono coltivate centinaia di piantine di cacao e agrumi. Su vari versanti vengono coltivate banane per il consumo interno del campus e cacao di varie specie tra cui alcune sperimentali.

Sul tetto del primo dislivello sono piantati circa due ettari di arance Valencia. La salita prosegue ripida, quasi una scalata, però già il panorama ripaga l'impresa. È uno dei pochi punti da dove si può scorgere l'intera cittadina che finisce sulla riva del rio Tambo, che pochi metri più avanti si univa con il rio Urubamba per formare come una ipsilon: il rio Ucayally, principale affluente del rio Amazonas.

Col machete puliamo l'erba intorno ai fusti di ogni agrume per poi fare la fumigazione contro batteriosi e parassiti. Sul versante leggermente più a nord cresce il caffè, tanti arbusti con fiori bianchi e profumatissimi che durano pochissime ore e poter capitare nel momento della fioritura è veramente una fortuna. I lavori sono molto costruttivi, l'agricoltura oltre a noi volontari, viene insegnata anche agli studenti di tutte le facoltà dell'università.

Di sabato siamo andati di “Faena”: 60/70 studenti ognuno con il suo machete a fare pulizia, zappare e piantare. Spazio e piante per fare pratica non mancano e si nota la destrezza con cui operano sul campo, ragazzi abili, determinati e coscienti che un giorno quei sacrifici sarebbero stati il loro pane. Tanti ragazzi mi hanno detto: «Avrò la mia piantagione di cacao e ti inviterò».

Alle 12 il sole picchia forte e tutti insieme beviamo il masato, una bevanda speciale ed energizzante che nella selva è considerata un elisir e si ottiene fermentando un estratto di yucca. Le voci degli studenti echeggiano per le valli tra canti e risate. Ognuno ha la sua storia, le sue origini, la sua lingua e la sua comunità (Yanisha, shipibo, ascanica, gine), ogni comunità ha il suo areale e lo hanno sempre abitato per migliaia di anni. Nessuno meglio di loro conosce la foresta, le piante e gli animali.

Mentre lavoriamo, un ragazzo prende una manthona, un serpente di tre metri, e la porta in mano come se niente fosse. Oltre ai lavori di pulitura abbiamo piantato in una parcella l'ananas golden, sfruttando piante figlie generate dalla coltivazione precedente. Tutte le tecniche relative alle coltivazioni ci vengono mostrate e insegnate dall’agronomo Gustavo Callisto con anni di esperienza in diverse aziende e vari progetti.

Il nostro mezzo è una moto a tre ruote che a ora di pranzo ci porta a “chocolate&pimienta”, ottimo ristorante per recuperare le energie. La prima domenica insieme al professor Julio ho avuto la possibilità di conoscere due comunità native e ci siamo recati verso Sarsacocha dove si trovavano i loro villaggi. Purtroppo l'integrità di queste comunità non viene preservata dallo stato peruviano: non indossano i loro abiti caratteristici e vivono da contadini poveri, perché aziende e multinazionali hanno fatto delle loro terre, dei loro fiumi e dei loro prodotti ciò che volevano grazie alle sovvenzioni statali.

Grandi imprenditori che hanno aperto miniere d'oro e centinaia e centinaia di aziende taglialegna, industrie petrolifere che trivellano ovunque versando sostanze tossiche. Il tutto in una superficie di pochi chilometri quadrati. Le attività illecite sono riuscite ad arrivare prima di qualunque istituzione, studente, ricercatore o missionario, hanno modificato contesti genuini dove rispetto e umiltà rappresentano la vita dei nativi. All’interno del secondo villaggio una compagnia telefonica aveva istallato un trasmettitore di tre piani con una parabola che contrastava a pieno con l'integrità delle comunità.

Durante la settimana successiva con Ugo abbiamo realizzato potature e innesti di cacao perfezionando tecniche di gestione dei frutteti, la parte di formazione è fondamentale per garantire una buona produzione e qualità dei frutti. I giorni che lavoravamo nel “pltanal” le banane da mangiare non mancavano e spesso portavamo a casa caschi di banane enormi che poi erano la colazione migliore. Il mercato locale di Atalaya anche se piccolo ha una zona dove si possono consumare un sacco di succhi tropicali freschi, fatti al momento con frutta eccezionale.

Anche il fiume offre tante specie di pesci di ottima qualità che, arrostiti con il platano, sono molto saporiti. Ma il pesce più buono è quello pescato e mangiato in riva al fiume con la legna della foresta, in compagnia della gente del posto ascoltando i loro miti intorno al fuoco. I turisti sono pochi ma di bei posti da visitare ce ne sono un infinità come la “Cueva di Tambusco”, una caverna lunghissima dove si nascose il re Athahualpa per sfuggire agli spagnoli quando giunsero a Cusco. Lungo il fiume Aerija ci sono alcuni punti dove la gente del posto fa il bagno a Sapani, in cui trascorrere una domenica veramente piacevole. Oltre alle piscine naturali ci sono cascate come quella di Canuja, dove bisogna risalire il torrente per circa un'ora fino a giungere all'origine di tutto il corso d'acqua: lì si può fare il bagno e i tuffi sotto le imponenti rocce con i potenti getti d'acqua che piovono dal cielo. Il Perù è una terra meravigliosa e può offrire momenti indimenticabili, ricchi di cose e gesti semplici.

* 21 anni, di Formia (Lt), secondo anno della laurea triennale in Scienze e tecnologie agrarie, facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali, campus di Piacenza