«L’Advisory European Fiscal Board rappresenta un primo importante passo verso una futura unione fiscale». Massimo Bordignon, ordinario di Scienza delle finanze nella facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore è uno dei cinque componenti della nuova commissione indipendente europea, istituita a seguito delle proposte dei cinque presidenti, cioè di Jean-Claude Juncker (Commissione Ue), Donald Tusk (Consiglio europeo), Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo), Mario Draghi (Banca centrale europea) e Martin Schulz (Parlamento europeo).

Insieme al professore della Cattolica, ne fanno parte il danese Niels Thygesen, che ricopre il ruolo di presidente, l’olandese Roel Beetsma, la francese Sandrine Duchêne e il polacco Mateusz Szczurek.

L’organismo collettivo e indipendente sarà in carica per tre anni e s’inserisce in quel processo di riforma della governance dell’Unione monetaria, fissata nel 2015 nel rapporto dei cinque presidenti. Operativo dallo scorso 19 ottobre, dovrà sostenere la Commissione nell’applicazione delle regole fiscali durante le varie fasi previste nel processo europeo e presentare un rapporto annuale sulla governance fiscale dell’area. «Il “Fiscal Board” interpreta bene la percezione generalizzata che dal punto di vista istituzionale qualcosa in più andasse fatto per portare avanti l’unione monetaria», spiega il professor Bordignon. «Tra le istituzioni proposte nel Rapporto dei cinque presidenti, come l’unione bancaria e la capital markets union, l’Advisory European Fiscal Board rappresenta uno dei tasselli del processo di unificazione europea».

Che cosa dovrebbe fare nel concreto questo board? «Ha un compito complicato e difficile che si può sintetizzare in tre punti. Il primo è ragionare sulla corretta applicazione delle regole fiscali che l’Unione Europea, in generale, e i Paesi della moneta unica, in particolare, si sono dati per controllare le finanze pubbliche».

Rivedrà ogni singola decisione che prende la Commissione? «Non credo, anche perché non avrebbe le risorse materiali per farlo. Poi, non ha poteri esecutivi diretti. Però ha un potere non secondario: se il Fiscal Board solleva obiezioni sul modo in cui le norme sono state interpretate la Commissione deve risponderne pubblicamente. Nel valutare il funzionamento delle regole e la loro applicazione il nuovo organismo può anche dare consigli su come queste possano essere migliorate sul fronte della trasparenza e dell’efficacia, che si riduce a causa di un serio problema di comprensione di queste norme da parte dell’opinione pubblica».

Il secondo compito? «Nei suoi report annuali, che saranno pubblici, il Fiscal Board è chiamato istituzionalmente a dare anche una valutazione sulla “fiscal stance” dell’Eurozona, cioè sulla politica di bilancio complessiva dell’area. Saremo chiamati a verificare non solo se le regole - per esempio, il rapporto deficit/pil o debito/pil - sono applicate ma se sono anche efficienti, producono cioè un livello di spesa pubblica complessiva ottimale o meno per l’area euro. Un aspetto importante perché, anche se il Fiscal Board non può imporre nulla, qualora emergesse che la spesa pubblica consolidata nell’eurozona non fosse sufficiente, i Paesi dovrebbero comunque tenere conto delle sue indicazioni».

E il terzo obiettivo? «Uno dei risultati del progressivo rafforzamento delle regole fiscali (il cosiddetto Fiscal Compact) è stato l’introduzione in tutti i paesi di “fiscal council” indipendenti a sostegno della politica di bilancio; nel nostro Paese si tratta dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Il nuovo Board dovrà collaborare con loro, il cui ruolo è interiorizzare le regole, controllare se i conti sono corretti ma anche offrire a governi e parlamenti una base tecnica e indipendente di riflessione».

Quale sarà il traguardo da raggiungere? «La speranza è che questa istituzione dia una mano nel trovare un equilibrio più soddisfacente tra il rispetto delle regole fiscali in ciascun Paese, necessaria per gli Stati che hanno scelto la moneta unica, e i risultati in termini di politica fiscale complessiva. Dovrà cercare di stimolare un maggior coordinamento tra le politiche di bilancio dei diversi Paesi perché il risultato sia vantaggioso per l’intera area».