Spesso sole e in condizioni di vulnerabilità, con titoli di studio bassi, inoccupate molto di più rispetto alla popolazione generale (penalizzate soprattutto le donne), mentre i servizi loro dedicati sono scarsi e troppo pochi i finanziamenti assegnati e con le famiglie – sempre più in difficoltà – a supplire rispetto alle mancanze delle istituzioni nazionali e locali. 

Alla vigilia della Giornata internazionale delle persone con disabilità, promossa dalla Commissione Europea in accordo con le Nazione Unite che si celebra domenica 3 dicembre, è questo in sintesi il quadro, non proprio consolante, che emerge nel nostro Paese tracciato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane (Osservasalute), che ha sede nel campus di Roma dell’Università Cattolica. 

Per l’occasione l’Osservatorio ha elaborato un focus sulla situazione attuale riguardo al tema dei diritti e dell’inclusione sociale delle persone disabili pubblicato sul sito web. «La disabilità è una condizione che interessa molti italiani e la sfida che il nostro Sistema di welfare dovrà affrontare è quella di riuscire ad assicurare a queste persone l’assistenza sanitaria e sociale, il diritto a vivere una vita indipendente e, più in generale, di essere inclusi nella società con tutte le opportunità (istruzione, lavoro, partecipazione sociale e politica) di cui godono gli altri cittadini» afferma Alessandro Solipaca, responsabile Scientifico di Osservasalute, diretto dal professor Walter Ricciardi.

Per tali finalità, le politiche dovranno fronteggiare diversi ordini di problemi, tra loro molto correlati, che vanno dalla sostenibilità economica del Welfare state alla capacità di risposta a diritti inalienabili, riconosciuti anche dal nostro Paese con la ratifica della Convenzione Onu (legge n.18 del 3 marzo 2009) sui diritti delle persone con disabilità.

Le stime sulla prevalenza nella popolazione della disabilità segnalano che questa condizione interessa circa 4 milioni e 360 mila persone, la maggior parte delle quali ha una età superiore a 65 anni e vive nelle regioni del Mezzogiorno (fonte Istat). 

Il bisogno di aiuto di cui necessitano emerge già dal fatto che oltre un terzo di queste persone vive da solo, tra gli ultrasessantacinquenni la quota sale al 42,4%. Si tratta di dati molto preoccupanti poiché palesano una diffusa condizione di vulnerabilità che coinvolge un numero elevato di persone, che non possono contare sull’aiuto di un familiare. Basti pensare che tra gli ultra settantacinquenni, una persona su cinque ha gravi difficoltà in almeno un’attività quotidiana (ADL) e solo un anziano su dieci è autonomo nella cura personale.

In generale e in una ottica di inclusione sociale, particolare importanza rivestono il diritto all’istruzione e al lavoro. I dati raccolti evidenziano che il livello di istruzione per questo gruppo di popolazione è mediamente basso, nella classe di età 45-64 anni la percentuale di persone che hanno al più la licenza media si attesta a circa il 70%, senza significative differenze di genere. Questi numeri testimoniano il forte divario che c’è tra le persone con disabilità e il resto della popolazione, dove la quota di persone con titolo di studio basso nella classe di età 45-64 anni è di circa il 50%.

Un altro diritto in parte disatteso è quello al lavoro, nella classe di età 45-64 anni la percentuale di persone in condizione di disabilità occupata è il 18%, nel resto della popolazione 58,7%, con rilevanti differenze di genere. Infatti, risulta occupato il 23% degli uomini con disabilità e solo il 14% delle donne.

Analizzando le risorse che il nostro Paese impegna, nell’ambito del Sistema di protezione sociale (fonte Eurostat), per la funzione di spesa destinata alla disabilità, si può osservare che, nel 2015, sono stati spesi 27,7 miliardi di euro, il 5,8% del totale della spesa per la protezione sociale, pari all’1,7% del Pil (in Europa è del 7,3%).

Il modello di welfare italiano si è appoggiato tradizionalmente sulle famiglie, che hanno svolto un ruolo di sussidiarietà all’intervento dello Stato, sempre più limitato dai vincoli di finanza pubblica. Un modello che potrebbe andare in crisi, vista la dinamica socio-demografica per la quale si prevede che le strutture familiari saranno composte da uno o due componenti e da molti anziani soli. Tale processo causerà il dissolvimento strutturale della rete di assistenza di natura informale, tipica della realtà italiana. 

Il quadro del rapporto mette in luce numerose criticità, a fronte di una normativa nazionale che ha posto come principale obiettivo delle politiche sociali quello dell’inclusione sociale delle persone con disabilità, di cui la legge 104 del 1992 ne costituisce il principale esempio, così come l’impegno preso dal nostro Paese con la ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. 

Secondo gli autori, questi dati fanno dire che l’inclusione sociale di queste persone è ancora lontana. I diritti sanciti nell’articolato della Convenzione Onu, in particolare quelli alla salute, allo studio, all’inserimento lavorativo, all’accessibilità, non sono ancora perfezionati. Soprattutto a causa della mancata attuazione delle normative, dovuta probabilmente alla lentezze delle amministrazioni nel loro recepimento e alla scarsità di risorse finanziarie a disposizione dei governi locali competenti in materia sociale. 

Con la conseguenza che, nel nostro Paese, il principale strumento di supporto alle persone con disabilità e alle loro famiglie è rappresentato dal sistema dei trasferimenti monetari, sia di tipo pensionistico sia assistenziale. Permane, dunque, la carenza di servizi e assistenza formale da parte del sistema sociale, che costringe le famiglie a continuare a svolgere e a farsi carico della maggior parte delle attività di cura e di aiuto ai loro componenti in condizione di disabilità.