* di monsignor Antonino Raspanti

L’indizione di un Sinodo dei Vescovi sui giovani e la pubblicazione del Documento preparatorio I giovani, la fede e il discernimento vocazionale producono tanti interventi, creando un vivace dibattito, a mio parere necessario e alquanto proficuo per la chiesa e per la società. […]

Il primo e più evidente dato è il distacco numericamente ampio dei giovani dall’istituzione ecclesiale e dalle sue pratiche, rispetto al secolo scorso, il tema teologico maggiormente interessato è quello della trasmissione della fede in Italia e in genere nell’Occidente, terre di antica tradizione cristiana.[…]

Ciò è ufficialmente sancito dal Documento preparatorio che registra il passaggio dal Novecento, secolo dell’ateismo e della contestazione, all’indifferenza e al divorzio attuali delle parti in causa: «Tutto ciò si svolge in un contesto in cui l’appartenenza confessionale e la pratica religiosa diventano sempre più tratti di una minoranza e i giovani non si pongono “contro”, ma stanno imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal Vangelo e “senza” la Chiesa, salvo affidarsi a forme di religiosità e spiritualità alternative e poco istituzionalizzate o rifugiarsi in sette o esperienze religiose a forte matrice identitaria».[…]

Dare spazio al sogno e all’inedito dei giovani non significa (però) allentare le redini del comando e concedere qualche possibilità a trovate più eccentriche, bensì sintonizzarsi con il dato antropologico del venir alla luce di una vera novità che è la persona umana stessa. Usando per essa il termine vocazione, la visione cristiana indica che questo venir alla luce non sia semplice frutto di dinamiche biologiche, psicologiche e sociali, bensì che a suscitare e animare queste dinamiche sia l’azione di Dio stesso, che chiama in causa anche quella dell’uomo/educatore. È la ragione per cui il Documento preparatorio insiste sulla necessità di ascoltare i giovani: «Attraverso i giovani, la Chiesa potrà percepire la voce del Signore che risuona anche oggi. Come un tempo Samuele (cfr. 1Sam 3,1-21) e Geremia (cfr. Ger 1,4-10), ci sono giovani che sanno scorgere quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita. Ascoltando le loro aspirazioni possiamo intravvedere il mondo di domani che ci viene incontro e le vie che la Chiesa è chiamata a percorrere».[…]

Si intuisce che il discernimento vocazionale non possa prescindere da (questo) discernimento culturale, le cui dinamiche non sono soltanto individuali o di un piccolo gruppo di persone, ma coinvolgono processi sociali e storici molto più ampi. Anche in questa luce ritorna a proposito il suggerimento di Papa Francesco di non occupare spazi, ma di generare processi. Mi limito qui soltanto a compilare un indice di questi ambiti culturali, ai quali si rivolge l’attenzione della teologia e del clero, sin qui ancora timidamente: il valore della corporeità e della sessualità, con le connessioni della maturazione affettiva; il rapporto con la scienza e la tecnologia con le visioni ideologiche/onnicomprensive di cui sono portatrici; la trascendenza, la domanda religiosa e il contatto ormai ravvicinato con una molteplicità di religioni. Quando entriamo nel discernimento vocazionale incontriamo soprattutto la sfera della libertà, con i risvolti teologico ed etico. La vocazione è la piena realizzazione dell’uomo nell’amore, dunque essa prende corpo all’interno del principio dialogico in cui è stato creato.[…]

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* Vescovo di Acireale e vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Quelli pubblicati sono alcuni stralci della Prolusione tenuta in Aula Magna il 7 marzo 2018.