«Un intervento che poteva essere fatto prima, piuttosto che cercare di arginare come adesso una situazione al limite». Non usa mezzi termini Angelo Baglioni, professore di Microeconomia e Monetary Economics nella facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica, a proposito del piano “salva banche” che ha impedito il fallimento di Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, CariChieti. E aggiunge: «D’altra parte, se le quattro banche italiane fossero fallite le conseguenze sarebbero state ben più pesanti e tali da coinvolgere un maggior numero di creditori, depositanti e anche lavoratori».

Professor Baglioni, come si è arrivati a questo punto? «Da diverso tempo questi istituti erano sotto l’occhio della vigilanza della Banca d’Italia, che prima li ha sollecitati a ricapitalizzarsi, a causa dei bilanci molto compromessi, e poi li ha sottoposti a commissariamento. Negli ultimi mesi, però, si è dimostrata impossibile la ricapitalizzazione di queste banche con strumenti di mercato, come un aumento di capitale oppure la loro acquisizione da parte di qualche altra banca sana. Era, quindi, necessario un intervento pubblico. Ecco allora che il Governo è intervenuto con il decreto “salva banche”, approvato dal Consiglio dei ministri il 22 novembre scorso».

In che cosa consiste? «Questo decreto ha applicato per la prima volta la procedura, cosiddetta di risoluzione, che deriva dalla direttiva europea “Bank Recovery and Resolution Directive”, recepita molto di recente dal nostro Paese. Con questa si istituisce la figura di una resolution authority - nel nostro caso la Banca d’Italia - dotata di poteri e strumenti per gestire le crisi bancarie e per intervenire tempestivamente nella fase di risoluzione e di risanamento di enti creditizi».

Ma cosa c’entrano i clienti? «Un’altra normativa europea sugli aiuti di stato, in vigore già dall’agosto del 2013, dice che, quando c’è un aiuto pubblico, al fine di rendere minimo tale intervento, bisogna addossare delle perdite anche agli azionisti e ai titolari di obbligazioni subordinate».

Cosa intende per obbligazioni subordinate? «Sono titoli più rischiosi rispetto a quelli normali. Ciò significa che, in caso di fallimento della banca, gli obbligazionisti subordinati vengono rimborsati dopo tutti gli altri, prima soltanto degli azionisti».

C’è la possibilità per i risparmiatori di riavere i propri soldi? «Il governo è intervenuto con un altro provvedimento, per fare in modo che questi possano recuperare almeno in parte i loro investimenti. L’altra via da percorrere può essere quella dell’azione legale, chiedendo un risarcimento a quelle banche che, avendo venduto questi prodotti senza dare adeguate informazioni, hanno sostanzialmente truffato i risparmiatori».

È corretto questo piano di salvataggio? «Sostanzialmente sì, anche se poteva essere fatto prima. Rimandarlo, poi, sarebbe stato peggio considerando l’entrata in vigore da gennaio 2016 del “bail-in”».

Cioè? «L’espressione “bail-in” deriva sempre dalla stessa direttiva europea “Bank Recovery and Resolution Directive”. Si tratta di un meccanismo più forte di quello che è stato applicato per la risoluzione delle quattro banche perché, oltre a interessare azionisti e obbligazionisti subordinati, potenzialmente coinvolge tutti i creditori, gli obbligazionisti ordinari e i depositanti, tranne quelli con un deposito inferiore ai 100 mila euro. Una novità importante, che esige uno sforzo di informazione della clientela da parte delle banche, delle autorità e anche della stampa. Bisogna stare attenti perché il bail-in si applica a tutti i titoli esistenti, anche a quelli già emessi. Sarebbe stato meglio applicarlo solo ai titoli di nuova emissione».

Jonathan Hill, Commissario europeo ai servizi finanziari, ha affermato che le banche non avrebbero dovuto vendere titoli poco affidabili spacciandoli per investimenti sicuri. Che cosa ne pensa? «Hill ha sollevato un problema fondato: dalle notizie riportate dai giornali emerge che queste banche negli scorsi anni abbiano venduto ai risparmiatori azioni e obbligazioni subordinate senza avvertirli della loro pericolosità e rischiosità. Il problema riguarda soprattutto le obbligazioni subordinate, che possono facilmente essere confuse con quelle normali».

Qualcuno sostiene che i risparmiatori avrebbero dovuto insospettirsi, di fronte ai rendimenti particolarmente elevati offerti dalle obbligazioni subordinate. «Questo argomento non regge, perché è emerso che in molti casi questi titoli venivano collocati a rendimenti simili a quelli delle altre obbligazioni e dei titoli di stato. Quindi il risparmiatore si assumeva un rischio senza saperlo e non veniva neppure remunerato con un rendimento atteso adeguato».

Si sta indagando sulla compatibilità della risoluzione con le norme penali e con l’articolo 47 della Costituzione, che difende il cittadino dalle possibili speculazioni degli istituti di credito... «La tutela del risparmio è affidata alla regolamentazione prudenziale e alle due autorità di settore: la Banca d’Italia, che vigila sulla stabilità degli intermediari finanziari; la Consob, che vigila sulla correttezza dei loro rapporti con i clienti e sulla trasparenza delle informazioni. È indubbio però che la tutela del risparmio non può mai raggiungere una garanzia assoluta. Dal punto di vista della stabilità, anche se il nostro sistema bancario è in generale solido, casi come questi si possono presentare anche in Italia. Quanto al tema dei rapporti con i risparmiatori, forse sarebbe stato meglio proibire la vendita di obbligazioni subordinate alla clientela al dettaglio».

Come può un azionista, un obbligazionista o chiunque voglia investire i propri risparmi, tutelarsi nel miglior modo possibile? «Esistono prodotti sicuri, ma naturalmente rendono poco. In genere, i titoli che danno un ragionevole grado di sicurezza nello stesso tempo danno bassi rendimenti. Tra questi ci sono, per esempio, il deposito bancario su somme fino a 100 mila euro, gli investimenti in obbligazioni normali, in polizze assicurative, che sono sostanzialmente delle forme di investimento del risparmio, in fondi pensione».