di Pier Cesare Rivoltella *

Dall’annuncio di Facebook sull’introduzione del bottone “non mi piace” alle ultime parole di Steve Jobs prima di morire, dalla fotografia dell’alba su Marte alle margherite mutanti di Fukushima. Sono solo alcune delle false notizie che negli ultimi tempi pullulano in rete. Ne fornisce una puntuale recensione il giornalista Paolo Attivissimo in Bufalopedia, uno dei servizi forniti nel suo sito attivissimo.net.

Una bufala è un’informazione fasulla, palesemente inventata, serve a condurre dove si vuole il destinatario, proprio come si fa con un bovino prendendolo per l’anello che gli è stato infilato nel naso. Il web ne è pieno, come di informazioni non verificate, o semplicemente di informazioni che non si possono ritenere tali.

Il problema interpella allo stesso tempo la responsabilità di chi pubblica e il senso critico di chi legge, come di recente ho provato a spiegare (Le virtù del digitale, 2015). E produce effetti sia sulla cultura diffusa, sempre meno informata e sempre più esposta al conformismo, sia sull’educazione, i cui compiti esigono di essere ridefiniti proprio in relazione a questa emergenza. […]

Per tornare alle virtù del digitale, una corretta educazione all’uso delle informazioni disponibili in rete ha a che fare in modo particolare con la prudenza e ruota attorno a tre fondamentali operazioni.

Anzitutto occorre imparare a trovare le informazioni, distinguendole da tutto ciò che nel web informazione non è. Questo comporta di saper utilizzare più motori di ricerca (non necessariamente e soltanto Google) sfruttandone le possibilità di ricerca avanzata. Ma comporta anche di saper iniziare una ricerca da punti di partenza diversi: da un repertorio o da un lessico online (come Wikipedia), dai preferiti selezionati e condivisi da altri navigatori (come accade in Delicious o, per la ricerca scientifica, in Mendeley), dal social network, cercando qualcuno che possa fornirci le informazioni che cerchiamo.

Una volta trovate le informazioni, occorre valutarne la pertinenza. Non è detto che tutto quel che troviamo sia funzionale alla nostra ricerca di quel momento. Di qui la necessità di imparare a selezionare quel che serve da quel che al momento non serve, ma che non per questo non potrà servire in futuro. Di qui discende la necessità di imparare a utilizzare e organizzare il tool dei preferiti sul proprio browser o, se intendiamo mettere a disposizione di altri navigatori il risultato delle nostre ricerche, di adottare sistemi che ci consentano di condividerli (come i già citati Delicious e Mendeley).

Da ultimo occorre imparare a valutare la credibilità di quanto è già stato trovato e riconosciuto pertinente. Si tratta del compito più difficile, proprio in virtù di quel che abbiamo già osservato in tema di demediazione della comunicazione in internet. Un’ipotesi di lavoro potrebbe essere di verificare:

- la metadatazione dell’informazione. I metadati sono informazioni sull’informazione: chi l’ha prodotta, in che data, ci sono altre versioni dell’informazione in oggetto, qual è la presente versione? La presenza di metadatazione allo stesso tempo circoscrive il lavoro di certificazione del lettore e rappresenta già un indicatore di qualità del contenuto su cui si sta lavorando;
- la presenza di prestiti non dichiarati. Come dico sempre ai miei studenti: «Chi di Google ferisce…». Selezionando una parte del testo trovato, copiandola e incollandola nel browser, è possibile accorgersi se sia presente in altre pagine web e in che rapporto stia (di copia o di originale) rispetto a quelle pagine;
- l’attendibilità dell’autore. Si possono cercare nel web informazioni su di lui, si può verificarne la reputation presso altri lettori in altri contesti, lo si può rintracciare sui social network fino a raggiungerlo materialmente per chiedergli informazioni;
- la taggatura. Il gradimento e l’uso che altri lettori hanno espresso o fatto di un determinato contenuto potrà orientare chi legge e aiutarlo a decidere del valore del contenuto su cui sta lavorando.

Come si capisce, si tratta di un lavoro di analisi e decostruzione volto a sviluppare capacità di riflessione e pensiero critico in chi legge. Essere avveduti e consapevoli quando si naviga nel web alla ricerca di informazioni è una dimensione importante della Information Literacy, a sua volta parte del più ampio concetto di Media Literacy. Con questo termine ci si riferisce all’insieme delle competenze che in una società come la nostra devono costituire il bagaglio di un soggetto attivo e votato alla partecipazione. Saperci fare con le fonti web non è questione da poco: è un problema di cittadinanza.

* docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento alla facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Insegna, fra l’altro, Didattica generale e Didattica e organizzazione della formazione. È direttore del Cremit (Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia).