Jorge Fornet è uno dei massimi intellettuali del panorama culturale e letterario cubano. È stato ospite nei giorni scorsi in Università Cattolica a Milano, su invito del professor Dante Liano, per raccontare la Cuba di oggi dopo la sospensione dell’embargo americano. Un punto di vista privilegiato per leggere un momento storico per il suo Paese e non solo. È infatti direttore della Casa de Las Américas, principale istituto culturale de L’Avana, luogo di riferimento in vari ambiti, da quello letterario alle arti visuali, dalla musica al teatro. La profonda crisi economica degli anni Novanta, secondo Fornet, ha fatto maturare una nuova generazione di scrittori non “compiacenti”, motivata a indagare sui problemi della società.

Fidel Castro, nel 1961, ha pronunciato il Discorso agli intellettuali, che conteneva la famosa dichiarazione “Dentro de la Rivolución todo, fuera de la Revolución nada”, con cui vietava di sostenere un punto di vista diverso da quello ufficiale. Com’è cambiata la vita degli scrittori a Cuba? «È difficile riassumere un momento storico così importante per il mio Paese. La Rivoluzione non ha soppresso la diversità nella letteratura, ma ha stimolato questa forma d’arte a patto che non divenisse esplicitamente controrivoluzionaria. Le parole di Castro all’epoca sono state incisive, ma la situazione oggi è molto cambiata: lo spettro di quello che si può dire e fare nel panorama letterario cubano è ampio. Sono passati parecchi anni anche dal caso di Reinaldo Arenas, poeta inviso al regime, e la società civile è molto diversa da allora. Sarebbe come domandarsi quanto è cambiata l’Italia dopo il caso Moro».

Secondo alcuni la vera letteratura cubana è quella della diaspora, perché è la sola libera. Lei è d’accordo? «Chi ha pronunciato questa frase, probabilmente, non ha letto quello che si produce qui. Un esempio su tutti è Leonardo Padura Fuentes, lo scrittore cubano più letto sull’isola e all’estero, che ha scelto di vivere a L’Avana. Cito lui perché è il più conosciuto, ma non è l’unico. Parlare di una cultura interna e di una esterna a Cuba è sbagliato: la cultura cubana è una sola, dentro e fuori dai confini, e non c’è alcuna frontiera a dividerla».

Dopo la sospensione dell’embargo americano ha inizio una nuova era per Cuba e i suoi abitanti. Quale corso dovrà affrontare l’isola, nel bene e nel male? «Ci sono stati dei segnali di riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba, ma il bloqueo non è ancora terminato. La fine dell’embargo è un processo lungo, che dipende dal presidente Obama e dal Congresso degli Stati Uniti. È certo, comunque, che inizierà una nuova era e che la fisionomia del Paese cambierà molto. Gran parte della forza e dell’energia di Cuba proveniva, in passato, dal confronto-scontro con gli Stati Uniti. Mutando le regole del gioco, però, cambierà la società civile e l’apertura alle altre economie trasformerà radicalmente l’isola».

C’è il rischio concreto che Cuba, cambiando fisionomia, diventi come un Paese sudamericano? «Questo è uno dei rischi possibili. Non credo, però, che la storia di Cuba possa essere cancellata. L’isola è sempre stata una realtà esterna al contesto latinoamericano, cui pure appartiene. Nel prossimo futuro potrebbe uniformarsi agli altri Paesi dell’America Latina, ma voglio credere che questa stagione di cambiamenti non avrà lo stesso effetto che ha avuto su nazioni come la Repubblica Dominicana e l’Honduras. L’importante è che vengano salvaguardate la dignità e la sovranità nazionale, la gestione dell’educazione e della sanità pubblica. Tutto il resto sta cambiando ed è difficile fare previsioni sul lungo periodo».

In che modo le origini afro-americane del presidente Obama e la sua sensibilità nei confronti dei diritti umani hanno contribuito alla sospensione dell’embargo? «Obama ha aperto un nuovo capitolo nei rapporti tra i due Paesi, giocando un ruolo chiave. Per i cubani è un presidente rispettabile e la scelta che ha fatto è coraggiosa: sta rompendo una tradizione, una storia solidificata da anni di chiusura nei confronti dell’isola. Obama riconosce le virtù del popolo cubano e i valori della nostra società. È impensabile che tutto questo potesse accadere con altri presidenti».

Quanto è stato decisivo il supporto di Papa Francesco? «Papa Francesco nutre una simpatia particolare per Cuba. Ha mostrato ammirazione nei nostri confronti, ancora prima di contribuire come intermediario al riavvicinamento tra i due Paesi. Questa svolta storica non sarebbe mai accaduta se la Chiesa non avesse favorito, in prima persona, la ripresa delle buone relazioni. Proprio per questo, i cubani ammirano e rispettano molto questo Papa».