Tra le questioni contemporanee che più necessitano di un’accurata riflessione, quella del rapporto problematico tra giovani e ingresso nel mondo del lavoro è certamente una della più urgenti.

Di quest’urgenza – tale poiché inscindibilmente legata al futuro di intere generazioni – delle cause e delle competenze da mettere in campo per giungere ad una soluzione, si è parlato nel convegno “La vocazione del lavoro, il lavoro come vocazione”.

«In tema di giovani e inserimento occupazionale esistono due scuole di pensiero: quella di chi pensa che il capitalismo abbia, sul lungo-medio termine, privilegiato il profitto di pochi a scapito del lavoro di molti; e chi invece sostiene che al contrario l’eccessiva pressione fiscale e il costo del lavoro abbiano messo in ginocchio le imprese in grado di creare occupazione. – ha spiegato il prof. Dario Nicoli – La realtà è che, in un contesto di crisi economica come quella attuale e in una società assai evoluta come la nostra in termini di tecnologia e comunicazioni, oggi a fare davvero la differenza sono le caratteristiche umane e personali, il piglio, l’innata propensione a qualcosa o, per dirla come il titolo del convegno, la “vocazione” per qualcosa».

Ma come fare a scoprire le proprie reali attitudini per districarsi nell’offerta formativa e allenare i propri talenti? E quali sono le cause di questo gap generazionale tra l’attuale gioventù e il panorama occupazionale?

A dare una risposta ci hanno provato gli studenti della Laurea magistrale in progettazione pedagogica e formazione della risorse umane che, coordinati dal prof. Nicoli, nel corso del convengo hanno presentato una ricerca che affronta il fenomeno in quattro tappe.

Se nella prima sezione si trova una definizione di neet (ovvero quei giovani inoccupati che non studiano e né lavorano) che rileva in un mix di fattori geografici, crisi economica e di un eccesso di familismo e protezione da parte della famiglie d’origine, le cause primarie del trend, nel secondo capitolo dello studio si trova evidenziata l’assoluta e urgente necessità di un sistema di welfare che tenga conto di aspetti generazionali. In questo senso, le politiche dello Stato non dovrebbero essere rivolte solo all’erogazione di sussidi e aiuti alle classi sociali in difficoltà e ai ceti bassi, ma anche ragionare in prospettiva, tenendo conto dell’inevitabile ricambio generazionale.

Un dato di grande interesse che emerge nella terza parte dello studio è dato da quella che viene definita “mappatura delle propensioni di studio” in cui si dà notizia di come un’eccessiva attitudine possa accentuare il distacco e l’allontanamento dei ragazzi da una concezione lavorativa.

In questo contesto trovano infine spazio ipotesi e strategie da mettere in atto per arginare l’emergenza: tra queste spiccano i recenti programmi d’inserimento degli studenti negli ambienti lavorativi, come ad esempio è il caso dell’alternanza  scuola-lavoro, o la possibilità di corredare il proprio curriculum vitae con esperienze formative all’estero.