di Marco Rizzi *

Tra i lasciti più importanti del Concilio Vaticano II, di cui è da poco trascorso il cinquantesimo anniversario dalla chiusura, c’è anche la piena legittimazione dello studio scientifico e accademico delle religioni e della tradizione cristiana in particolare. Vincendo una lunga tradizione di diffidenza, se non di aperta ostilità da parte dell’autorità ecclesiastica verso gli esiti del moderno approccio storico-critico ai fenomeni religiosi, i padri conciliari riconobbero il fondamentale carattere storico del cristianesimo, che lo aveva portato a inculturarsi nei diversi contesti sociali con cui si era dovuto misurare nel corso della sua bimillenaria vicenda. 

In un simile clima germogliò nel 1969 l’intuizione di Giuseppe Lazzati, da poco Rettore dell’Università Cattolica, di dare vita a un Dipartimento di Scienze Religiose che raccogliesse l’invito del Concilio e favorisse un approccio interdisciplinare al fenomeno religioso, in particolare cristiano, promuovendo indagini del massimo livello scientifico allora possibile, grazie a un’ampia rete di collaborazioni, e permettendo la formazione di nuove generazioni di studiosi all’altezza di un compito così impegnativo.

A distanza di cinquant’anni, se l’intuizione della forma dipartimentale si è rivelata lungimirante, essendo questa struttura diventata propria di tutta l’università italiana, profondamente mutato appare il contesto in cui si svolge al presente la ricerca in ambito religioso. Se allora il cristianesimo nelle sue varie denominazioni costituiva l’orizzonte prevalente in Occidente e la sfida con cui esso doveva misurarsi era quella della secolarizzazione, oggi quest’ultima convive con l’indiscusso ritorno sulla scena pubblica europea del religioso, che alcuni si illudevano potesse essere rimosso o quantomeno marginalizzato e ridotto a mero fenomeno residuale. 

Se dunque stiamo vivendo non semplicemente un’epoca di passaggio, ma un vero e proprio passaggio d’epoca, come Papa Francesco ha affermato, anche la ricerca religiosa si trova di fronte a sfide nuove, come del resto la stessa Chiesa cattolica. Si tratta di rianalizzare e ripensare forme e modalità di presenza nell’ambito di una società che non è più monoconfessionale, bensì multiconfessionale e addirittura multireligiosa, nel contesto però di Stati e sistemi politico-istituzionali laici generati da un plurisecolare confronto (e spesso scontro) con la tradizione cristiana, che si devono ora misurare con nuovi attori religiosi e in un contesto globalizzato. 

In questo senso, gli studiosi operanti all’interno dell’Università Cattolica, senza alcuna pretesa di sostituirsi a quanti hanno compiti di governo, sul piano civile o su quello ecclesiale, possono offrire un contributo di conoscenze utili a comprendere meglio quanto sta accedendo in una prospettiva di più lungo periodo, non schiacciata sull’emergenza presente, e formando nuove generazioni di studiosi che, secondo l’intuizione di Lazzati, possano rappresentare un decisiva cerniera di conoscenza tra la Chiesa e il contesto in cui essa è chiamata a operare.

* docente di Letteratura cristiana antica, facoltà di Lettere e filosofia, campus di Brescia. Direttore del Dipartimento di Scienze religiose