di Simonetta Polenghi e Marisa Musaio *

In un recente scritto su “La sfida dell’educazione alla luce del pensiero di Romano Guardini”, ricostruendo il profilo del grande educatore cattolico, Giuseppe Mari ne menzionava l’impegno sia in ambito universitario sia nella pratica educativa meno formale destinata ai giovani, l’attività e il servizio ad ampio raggio proprio di chi interessato all’educazione abbraccia l’azione concreta, insieme allo studio e alla ricerca sui temi pedagogici. 

La sintesi che Giuseppe Mari dedicava a Guardini filosofo ed educatore, ci appare oggi, a un tratto, in una luce nuova, non solo una semplice ricostruzione o un saggio tra gli altri, né l’ennesima scadenza editoriale alla quale come infaticabile studioso di pedagogia rivolgeva scrupolosamente la sua attenzione. 

La sua morte improvvisa ci sollecita piuttosto a fermarci e rileggere i lavori dell’amico e del collega. E in questo ri-andare, poter ritrovare il filo rosso del suo instancabile procedere pedagogico, fatto di dedizione costante rivolta a più fronti congiunti: nel caso di Giuseppe Mari a quello delle sue apprezzate riflessioni sulla rilettura pedagogica di Aristotele e sui richiami ai fondamenti antropologici, insieme all’attenzione per le numerose sfide dell’educazione, dalla libertà alla sfida dell’alterità, dal richiamo costante al valore della persona in vista di quella costruzione di identità, seppur difficile, ma pur sempre da accompagnare nei giovani, da formare “Oltre il frammento”, come esordiva sin dal suo primo volume del 1995, per affrontare le sfide del postmoderno, le sfide del nichilismo, consapevoli di dover “educare dopo l’ideologia”, in un’epoca che avendo perso i riferimenti, ha bisogno di ricongiungere “razionalità metafisica e pensare pedagogico”, se si vuole educare alla libertà. 

Ma il ritrovare gli innumerevoli ambiti di riflessione di Giuseppe Mari non vuole essere una rievocazione fredda e distaccata di tracciati di studio. Vuole essere piuttosto il riconoscimento a chi ha contribuito a ridisegnare, alla luce della tradizione e del pensiero dei classici, la figura dell’educatore attento alla prospettiva intorno all’uomo, ai fondamenti dell’educazione, alle diverse linee di approfondimento pedagogico, senza le quali l’educare concreto non potrebbe nemmeno delinearsi; perché ha bisogno di “vettori”, così come Giuseppe Mari amava spesso ripetere. 

E tra i “vettori” più volte da lui richiamati, vi è certamente l’attenzione per l’educazione occidentale, soprattutto alla luce dell’evangelizzazione, la centralità della persona, come riferimento per continuare a raccogliere “la sfida” e “le sfide dell’educazione” con fiducia e impegno, all’insegna di contenuti culturali alti, di una sconfinata passione per il valore della persona. 

Tutto questo, Giuseppe Mari, studioso di teologia, di filosofia dell’educazione e di pedagogia, lascia come educatore di centinaia di studenti e di giovani che lo hanno conosciuto e apprezzato nei suoi corsi di Pedagogia generale. 

Ai suoi colleghi e amici lascia un vuoto enorme, come studioso di alto profilo, come uomo di rettitudine profonda e come esempio di credente.

* Simonetta Polenghi, docente di Storia della scuola e delle istituzioni educative e direttrice del dipartimento di Pedagogia; Marisa Musaio, docente di Pedagogia generale e sociale