di Alberto Ronzoni *

Sono le 6.30. Inizia all’Aeroporto di Nairobi l’avventura che mi ha cambiato come persona e influirà molto sui miei progetti futuri.

Dopo aver caricato i numerosi bagagli partiamo alla volta di Alice Village: ci era stato anticipato che il viaggio sarebbe durato un’oretta ma non ci avevano detto che sarebbe stata un’ora carica di emozioni. Lo stile di guida dei kenioti è diverso da quello occidentale e non mi riferisco solo al lato di guida: sorpassi da ogni lato, precedenze inesistenti, traffico difficilmente immaginabile.

Appena si esce dal centro cittadino però il paesaggio cambia drasticamente: dalla strada principale partono una serie di stradine spesso sterrate, ai lati delle quali si trovano tante piccole baracche o lamiere di negozi di ogni genere, dal parrucchiere al fruttivendolo.

Alice Village è una casa famiglia a cui vengono affidati bambini e ragazzi che vengono tolti alle famiglie per vari motivi soprattutto legati a problemi economici, di alcool o droga. È stato anche il nostro alloggio nel mese passato in Kenya. A metà pomeriggio iniziano ad arrivare i primi ragazzi di ritorno da scuola e così abbiamo la possibilità di iniziare a conoscerli: sicuramente la prima cosa che colpisce è la gioia e la spensieratezza con cui questi ragazzi fanno qualsiasi cosa (tranne i compiti).

I giorni successivi visitiamo le due scuole di Twins International nelle baraccopoli di Dandora e Korogocho: l’impatto con le slum è sicuramente molto forte ma l’ospitalità dei maestri e dei bambini ci fa subito sentire a nostro agio.

Il nostro servizio di volontariato si divide tra Alice Village, dove giochiamo con i ragazzi e li aiutiamo a fare i compiti, e le due scuole dove collaboriamo con i maestri nelle lezioni e nella correzione dei compiti.

Di giorno in giorno mi diventa evidente che avrei ricevuto più di quanto sarei mai riuscito a donare: nel mio Charity in Kenya tutte le emozioni sono amplificate perché i bambini che incontri, soprattutto nelle baraccopoli, ti insegnano una cosa fondamentale: ciò che conta è l’essenziale. E l’essenziale sono le relazioni: l’amicizia, l’amore, la fede, la fraternità. Le relazioni sono la loro unica risorsa e ci investono tutto se stessi. Per questo è impossibile restare indifferenti di fronte all’incontro con questi bambini e ragazzi: ti toccano nel profondo in un modo che forse noi “occidentali” non abbiamo mai sperimentato.

Una delle esperienze più struggenti è la visita ad alcune “case” dei ragazzi delle scuole. Molte famiglie vivono in minuscole baracche con il tetto di lamiera o di plastica. La maggior parte di queste persone (bambini compresi) lavorano nell’immensa discarica di Dandora separando e rivendendo i rifiuti riciclabili. Vedendo queste donne, questi bambini addentrarsi nella distesa di rifiuti, avvolta da gas irrespirabili, mi domando come sia possibile accettare una situazione simile. La distanza non può essere un alibi: noi che ci riteniamo parte di società sviluppate, illuminate e democratiche come possiamo permettere che una madre non mandi il figlio a scuola perché costretta a mandarlo a lavorare per potersi permettere un pasto? Come possiamo permettere che una bambina si addormenti nella paura di essere rapita o stuprata?

Non ho risposte a queste domande. Se non un piccolo segno che dimostra la forza della vita. In visita alla scuola di musica di St. John a Korogocho, nella sala prove ci ritroviamo nel mezzo di un gruppo di ragazzi sorridenti e pieni di energia mentre sullo sfondo si può scorgere attraverso una piccola finestra la sagoma della discarica di Dandora. Questi ragazzi cantano i loro sogni, le loro speranze, in fondo, credo, le loro anime e così creano una realtà diversa, sicura e finalmente giusta in cui tutti siamo trasportati.

Credo che finché questi bambini troveranno ancora la voglia di cantare ci sarà ancora un po’ di speranza. Fino a quel momento l’umanità sarà ancora in tempo per cambiare. Non guardando solo agli interessi economici o politici ma fermandosi un attimo a rivolgere lo sguardo sugli uomini, le donne e soprattutto i bambini che io ho avuto la fortuna di incontrare. Per capire che l’unica cosa giusta da fare è tendere la mano.

* 21 anni, di Bergamo, studente del terzo anno del corso di laurea in Scienze politiche e delle relazioni internazionali, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano

http://milano.unicatt.it/facolta/scienzepolitichesociali