di Armando Fumagalli *

Gianfranco Bettetini è stato un padre della semiotica italiana, ma più in generale di tutti gli studi sui mezzi di comunicazione di massa, e non solo sugli audiovisivi, ma anche sul sistema dei media in generale, conosciuto e stimato a livello internazionale. Una passione, quella per la comunicazione, che gli derivava dall’educazione teatrale ricevuta negli anni giovanili, coltivata anche durante gli studi in ingegneria al Politecnico, e poi proseguita e messa a frutto negli anni di lavoro in Rai.

È stata anche, e in modo importante, questa sua passione per la regia, per la messa in scena, per la realizzazione concreta, che gli ha dato uno sguardo originale e profondo sui meccanismi di costruzione dei testi della televisione e del cinema.

Negli anni in cui la semiotica si affermava come disciplina quasi universale - il suo legame di grande amicizia e di sintonia disciplinare con Umberto Eco, pur nella rispettosa distanza di alcune posizioni di fondo, è proseguito fino all’ultimo giorno - Bettetini aveva una consapevolezza delle mediazioni del linguaggio e dei media, della non immediata trasparenza di ogni notizia, reportage, racconto, rispetto al fatto che vuole essere narrato, che gli derivava non da posizioni ideologiche strutturaliste o da ideologie decostruzioniste, ma da un concreto realismo e da una concreta esperienza del lavoro di messa in forma, che anche una diretta televisiva opera sempre, e dalle necessarie selezioni, che anche una cronaca apparentemente neutrale deve operare rispetto al fatto che vuole narrare.

Ne aveva fatto esperienza nella regia di trasmissioni come Campanile sera, nelle parodie di film celebri inserite nel programma di grande successo L’amico del giaguaro, negli spot di Carosello girati negli anni ’60 e poi nei diversi film e originali televisivi che aveva scritto e girato fino a L’ultima mazurka, un film elegantissimo e sofisticato, in cui metteva a frutto anche la sua passione per la musica, in concreto per l’operetta, presentato al Festival di Venezia nel 1986.

Questo senso immediato ed esperienziale del lavoro di costruzione e di messa in scena è diventato poi via via un’indagine su come nell’audiovisivo il tempo produce senso e su come l’organizzazione del testo prevede al suo interno i momenti di scambio con il fruitore, il passaggio di informazioni, il far nascere domande e curiosità e poi risolverle o non risolverle nel corso dello scambio comunicativo (La conversazione audiovisiva, 1983).

Le evidenze esperienziali sulla mediazione comunicativa erano poi state approfondite e fondate teoricamente richiamandosi alle posizioni di un realismo critico di radice tomista, via via approfondito e messo a frutto a partire dagli anni ’80.

Gli anni ’90 da una parte lo vedono entrare più “nella mischia” di alcune questioni antropologiche che riguardano i media e dall’altra seguire con grande attenzione e competenza lo sviluppo delle nuove tecnologie: la Computer Graphic, la realtà virtuale, gli archivi elettronici, l’ipertesto, la dimensione digitale come elementi sempre più cruciali della comunicazione tout court, senza dimenticare anche incursioni nella pubblicità e nella comunicazione di impresa.

Sono lavori integralmente suoi o a volte in collaborazione con Fausto Colombo - oggi direttore del dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello spettacolo dell’Università Cattolica -, Stefania Garassini, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini e altri giovani allievi che poi si sono via via affermati nei loro campi.

A partire dal 1989, con il suggestivo Deserto sulla terra (una frase del Trovatore di Verdi) si era cimentato anche in diversi romanzi, in cui emergeva una vena poetica che a volte sconfinava in tocchi di sorprendente surrealismo, come in Un tram senza rotaie (2000).

L’aver lasciato la Rai e il potersi dedicare a tempo pieno al lavoro accademico come ordinario alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere (chiamato dal preside Sergio Cigada), e direttore di quella che oggi è l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo (Almed), lo porta anche a sviluppare studi più ampi in ambito sociologico (formalmente dal punto di vista accademico Bettetini era ordinario di una materia sociologica: Sociologia dei processi culturali e comunicativi), un ambito dove, oltre a Colombo, hanno lavorato con lui Chiara Giaccardi, Piermarco Aroldi, Marina Villa e diversi altri più giovani.

Mentre invece, sul fronte più direttamente televisivo, di analisi critica - anche militante - e di storia della televisione, si muoveranno Aldo Grasso e Giorgio Simonelli, con i rispettivi allievi. Il campo più direttamente semiotico e di teoria cinematografica sarà invece il settore di riferimento di Francesco Casetti, oggi docente a Yale, e di Ruggero Eugeni, così come di altri allievi e collaboratori più giovani. Il sottoscritto e Paolo Braga, infine, insieme ad altri più giovani collaboratori ci siamo mossi su una declinazione della semiotica che orientasse a comprendere la costruzione del racconto (teoria e pratica della sceneggiatura, dimensione valoriale del testo narrativo) per il cinema e la televisione.

Lo spettro di questi percorsi e di questi interessi mostra, credo, molto bene come Bettetini sia stato un pioniere in molti campi, ma anche abbia saputo individuare talenti e incoraggiare le persone a muoversi con coraggio e determinazione secondo le loro inclinazioni e le loro passioni intellettuali.

Bettetini aveva una dimensione di paternità vissuta non solo nella sua bella famiglia (fra l’altro diversi dei suoi cinque figli, e in particolare Maria, Andrea, Massimo, sono studiosi e intellettuali ben noti nel loro campo), ma anche con tanti allievi, che lo ricordano con grandissimo affetto.

E ha formato anche tantissimi professionisti che ora lavorano nel mondo della televisione, e ricordano non solo i suoi libri a volte ardui, ma anche - con grande gratitudine - l’esempio di rigore intellettuale e umano che hanno imparato nelle aule della Cattolica.

Una volta il professore (gli ho sempre dato del Lei) mi raccontò che aveva avuto un breve incontro con Giovanni Paolo II, e, saputo che si occupava di mass media all’Università Cattolica, il Papa gli aveva detto una sola cosa: «È molto importante che Lei faccia scuola». Con una semplice e serena soddisfazione mi commentava: «È quello che ho cercato di fare».

* docente di Semiotica, facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere